Approvata il 30 novembre, la nuova legge iraniana su l'hijab (il tradizionale velo che devono indossare le donne) e la castità, ha scatenato un putiferio nella Repubblica islamica, fino a suscitare le critiche dei chierici più anziani. La norma infatti prevede lunghe pene detentive, multe salate e divieti di viaggio. La legge composta da 74 articoli invita inoltre il pubblico a denunciare i presunti trasgressori alla polizia e penalizza le aziende e i tassisti che si rifiutano di farlo.

La nuova legislazione si è rivelata così controversa che il presidente Masud Pezeshkian ha riconosciuto, in diretta televisiva il 2 dicembre, che «non può essere facilmente attuata». Ha poi anche messo in discussione le nuove sanzioni. La reazione piu sorprendente è stata quella di diversi alti religiosi che hanno messo in guardia contro l'applicazione della nuova legge. E il caso dell'ayatollah Mostafa Mohaqeq Damad il quale in una lettera aperta ai vertici del clero iraniano ha affermato: «Non solo gran parte di questa legge è inattuabile... ma vanifica il suo scopo e porterà i giovani a odiare gli insegnamenti religiosi». Insomma, il regime sembra aver paura di se stesso.

Una situazione che ha avuto riflessi anche dal punto di vista economico e sociale come dimostra una dichiarazione congiunta del 4 dicembre, nella quale tre importanti corporazioni che rappresentano l'industria dell'intrattenimento hanno affermato che qualsiasi legge che «trasforma la tua patria in una grande prigione è priva di significato» e hanno esortato le autorità ad abrogarla. Così si è arrivati al punto che il Consiglio supremo di sicurezza nazionale dell'Iran ha chiesto al Parlamento di Teheran un supplemento di riflessione.

In pratica la nuova legislazione è stata per il momento bloccata dando ragione alla presa di posizione di Pezeshkian che ha cinque giorni per dare il via libero definitivo, un tempo nel quale a quanto sembra il governo presenta all'Assemblea un disegno di legge modificato.

Molto probabilmente l'establishment della Repubblica islamica teme un ripetersi delle sanguinose proteste del 2022 scoppiate dopo la morte di Masha Amini. Il movimento denominato Donna Vita, Libertà è stato represso con condanne a morte e arresti di massa ma da allora qualcosa è cambiato. Nasrin Sotoudeh, un'importante attivista e avvocato per i diritti umani ha messo in evidenza come le leggi hanno lo scopo di proteggere i cittadini, ma la nuova norma «priva le donne della loro sicurezza per le strade». Sotoudeh è entrata e uscita di prigione per anni proprio per il suo attivismo e per aver affrontato casi legali delicati, tra cui donne detenute per aver protestato pacificamente contro l'hijab obbligatorio.

Il regime degli Ayatollah ha tentato di frenare il movimento ma giornalmente un numero crescente di donne iraniane si è rifiutato di indossare il velo obbligatorio, minando in questa maniera un pilastro fondamentale del sistema islamico. Sotoudeh ha anche detto che molti iraniani vogliono che i responsabili delle morti siano puniti, segnalando come leggi ancora piu repressive non faranno altro che accentuare la perdita di consenso della teocrazia iraniana. Eppure le ricette del potere degli Ayatollah sono sempre le stesse.

Sono state reintrodotte le pattuglie della cosiddetta polizia morale, che erano state sospese sulla scia delle proteste di due anni fa. Anche il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell'Iran (IRGC) ha istituito una nuova unità a Teheran per far rispettare l'hijab. I suoi membri sono chiamati paradossalmente ambasciatori della gentilezza. A novembre, il quartier generale di Teheran per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio ha annunciato la creazione di una clinica per offrire cure scientifiche e psicologiche alle donne che si rifiutano di seguire il codice di abbigliamento islamico, suscitando la reazione degli gli psicologi iraniani che hanno lanciato l'allarme sulle conseguenze dell'«etichettare le persone sane come malate».