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Associated Press/LaPresse
La guerra con Israele sta stressando come mai prima d’ora il regime iraniano, diviso tra la necessità di non mostrarsi imbelle davanti ai suoi alleati e il rischio di subire una pesantissima punizione militare da parte dello Stato ebraico. Talmente stressato e diviso da aver concepito e realizzato l’attacco contro le città israeliane praticamente senza coinvolgere il neoeletto presidente riformista Masoud Pezeshkian.
È quanto rivela il New York Times tramite la penna del celebre editorialista Thomas L. Friedman che cita fonti anonime di Teheran. Secondo quanto scritto dal quotidiano newyorkese il lancio di missili balistici sarebbe stato gestito interamente dai guardiani della rivoluzione (o Pasdaran) che, dopo aver ricevuto il placet della Guida suprema Alì Khamenei, avrebbero avvertito Pezeshkian solo all’ultimo momento, quando l’operazione era già in corso non poteva più essere fermata. Non proprio il massimo per un capo di Stato.
L’offensiva di martedì scorso, oltre ad alimentare l’escalation bellica in tutto il medio Oriente, è stata, in tal senso, il punto culminante delle tensioni all’interno del regime degli ayatollah. Pezeshkian era infatti del tutto contrario all’attacco missilistico che riteneva un’iniziativa irresponsabile e controproducente, raccomandando prudenza e moderazione «per non fare il gioco del nemico».
Eppure da diverse settimane nei palazzi di Teheran covava il malcontento per questa strategia attendista e tra i dirigenti dei Pasdaran è così maturata la convinzione che, non reagendo agli omicidi mirati del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh della guida di Hezbollah Hassan Nasrallah e del suo generale Abbas Nilforoushan, la moderazione richiesta daPezeshkian poteva venire interpretata dagli avversari come un segno di debolezza e di paura.
In particolare il ministro degli Esteri Abbas Araghchi si è lamentato con Khamenei, criticando la linea diplomatica del presidente. Nei colloqui con altri funzionari iraniani, il ministro ha anche accusato i paesi occidentali di aver «ingannato l'Iran» esortando il paese a mostrare cautela per consentire i negoziati per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. Negoziati che non sono mai giunti a buon fine.
Anche pubblicamente - sottolinea il New York Times - il presidente iraniano aveva invitato alla massima temperanza: pochi giorni prima dell'assassinio di Nasrallah, durante un discorso alle Nazioni Unite, Pezeshkian aveva infatti espresso il desiderio di lavorare a una de-escalation per la riduzione delle tensioni regionali.
Questa posizione ragionevole, però, gli sarebbe valsa pesantissimi attacchi da parte dell’ala più dura e più conservatrice del regime. Nelle ultime settimane è stata poi lanciata una campagna denigratoria, in particolare sui social network, contro il presidente e il suo governo, accusati di mollezza e, in alcuni casi, persino di tradimento della patria. I vertici delle forze armate iraniane, convinti che ua dimostrazione di forza nei confronti di Israele fosse ormai inevitabile, hanno ottenuto martedì mattina da Khamenei il via libera all'attacco missilistico che, in ogni caso, era già stato preparato con largo anticipo.
Estromesso da ogni decisione, Pezeshkian è stato messo di fronte al fatto compiuto ed è stato costretto a fare il classico buon viso a cattivo gioco definendo pubblicamente la pioggia di missili che ha colpito Israele come «un atto legittimo di autodifesa» a protezione «degli interessi della popolazione iraniana».
Alla luce delle indiscrezioni del New Yortk Times appaiono ancora più stranianti e in malafede le dichiarazioni rilasciate ieri da Pezeshkian durante una riunione del suo esecutivo: «Abbiamo dimostrato che non stiamo scherzando con nessuno sull’onore e l’orgoglio della nazione iraniana, se il regime sionista vuole commettere un errore, riceverà una risposta molto più schiacciante.L’orgogliosa operazione di ieri sera delle forze armate della Repubblica islamica dell’Iran ha dimostrato ancora una volta che il sistema di difesa dei sionisti è più fragile del vetro».