Lo stupro come punizione collettiva per i contestatori. L’ultimo rapporto di Amnesty International sulla repressione in corso in Iran è raccolto in 120 pagine di «orrori» che documentano le violenze sessuali subite dalle giovani e i giovani arrestati durante le manifestazioni di protesta che per mesi hanno scosso le fondamenta del regime degli ayatollah in seguito alla morte di Masha Amini per mano della polizia religiosa.

Amnesty ha realizzato 45 interviste anonime (i nomi sono di fantasia) a persone che hanno subito o sono state testimoni degli abusi commessi dalle forze di sicurezza iraniane, in particolare i Pasdaran (Guardiani della Rivoluzione) e i paramilitari Basiji.

Quasi tutti gli arresti sono avvenuti durante o a margine dei cortei, i poliziotti in uniforme o in borghese sono entrati in azione catturando senza mandati di arresto i ragazzi e le ragazze in mezzo alla strada, ma anche nelle loro abitazioni o sui posti di lavoro. «Le violenze sono iniziate già sui furgoni che trasportavano i prigionieri verso i commissariati, le caserme e altri edifici pubblici usati illegalmente come luoghi di detenzione», si legge nel rapporto.

«Le donne, ma anche gli uomini che hanno accettato di testimoniare ci hanno raccontato di soffrire di traumi fisici e psicologici profondi». Come Saha, una manifestante umiliata dai suoi carcerieri che le hanno ripetutamente toccato i genitali: «Prima dell’arresto ero una combattente, anche quando hanno tentato di spezzare la mia volontà non ci sono riusciti, ora invece mi sento depressa e penso spesso al suicidio, vivo di giorno aspettando che arrivi la notte per andare a dormire». Un’altra manifestante, Zahra è stata costretta ad avere un rapporto orale mentre era ammanettata all’interno del furgone della polizia, al suo rifiuto è stata presa per i capelli e trascinata per la strada.

Oltre all’umiliazione degli abusi sessuali volte a «distruggere lo spirito, l’autostima e la dignità», per le persone arrestate è previsto il trattamento “classico” delle torture fisiche: percosse, flagellazioni, scariche elettriche e iniezioni di sostanze non meglio identificate, a cui si aggiunge la privazione del sonno, del cibo e persino dell’acqua da bere. E va da sé che i malcapitati non hanno avuto nessuna assistenza medica anche se molti di loro avevano subito lacerazioni e fratture.

«Le guardie ci hanno picchiato brutalmente, con pugni, calci e colpi di bastone, manganello e tubi di gomma, a una ragazza hanno rotto il naso e spaccato i denti, a un’altra hanno strappato la maglietta minacciando di tagliarle il seno con un coltello», racconta Behrooz, fermato alla fine di una manifestazione e portato in una stazione di polizia. La brutalità della repressione non ha colpito solo le donne: «Hanno violentato le ragazze per via vaginale, anale e orale e i ragazzi per via anale, con manganelli, barre di metallo e bottiglie di vetro, ma anche infilando aghi nei testicoli». Alla fine del trattamento i prigionieri ancora in stato di choc erano condotti nella sala degli interrogatori dove gli venivano estorte confessioni forzate.

Quasi nessuna delle persone intervistate ha sporto denuncia dopo la liberazione per paura di rappresaglie, chi lo ha fatto ha poi subito intimidazioni e minacce di morte, per sé e per i propri familiari. Anche perché il sistema giudiziario iraniano non garantisce alcuna imparzialità e indipendenza dal potere politico. Amnesty cita il caso di due ragazze che nell’ottobre 2022 hanno denunciato per stupro alcuni agenti di custodia, l’inchiesta è stata subito insabbiata da un procuratore aggiunto di Teheran che ha definito le violenze «normali perquisizioni corporali».