Sono tornati sul tema della riforma delle intercettazioni il Procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone e il Presidente di Anm. Il primo formulando critiche assai severe alle scelte del Legislatore ed all’impianto complessivo della riforma, paventando stalli operativi e possibili incidenti di costituzionalità. Il secondo auspicando, sulla base di analoghe valutazioni negative, non solo una sospensione dell’entrata in vigore della nuova normativa, ma anche un suo ripensamento “nel merito”. Ci sono indubbiamente punti di ampia convergenza con tali posizioni, non solo laddove si critica la mancanza di sistematicità della riforma, ma anche laddove si dubita della efficacia delle nuove regole nell’evitare la piena tutela della riservatezza dei terzi, e si prospetta la sostanziale inagibilità ( con possibili effetti “catastrofici”) dei nuovi meccanismi selettivi. Risulta nei loro interventi ampiamente condivisa la denuncia di Ucpi della gravissima lesione al diritto di difesa, costituita dalla impossibilità di ottenere copia delle intercettazioni, dalla difficoltà di accesso agli archivi riservati, dalla mancanza di contraddittorio e dai tempi compressi del procedimento acquisitivo. Limiti che riverberano fatalmente sull’intera economia del giudizio.

Ciò posto, va tuttavia rilevato come nel momento in cui si affronti il profilo del necessario “ripensamento” della riforma, auspicato anche dalla magistratura associata, al di là di questi importanti punti di convergenza, le valutazioni prendano inevitabilmente strade diverse. Sul punto occorre svolgere qualche annotazione. Non vi è dubbio, ad esempio, che la scelta di negare ai difensori il diritto di copia degli atti, non sia soltanto il frutto di un svista del legislatore, ma radichi all’interno di una visione offensiva dell’avvocatura, come se fosse questa, contro l’esperienza e contro ogni ragionevole interpretazione dei fatti ( lo ammette anche il Procuratore Pignatone), la vera fonte della diffusione di notizie ai danni della riservatezza. Una visione che si ripete anche all’interno delle norme dedicate all’intercettazione delle comunicazioni fra difensore ed assistito, dove il solo divieto di verbalizzazione evidentemente non impedisce ma addirittura sancisce - la necessità dell’ascolto, contro la lettera dell’art. 103 del codice e le guarentigie costituzionali proprie della funzione difensiva. Sul punto l’Unione delle camere Penali aveva presentato al Ministro diverse concrete ipotesi di modifica. Ma anche qui sembra necessario sottolineare come la riforma abbia in realtà ripreso le indicazioni contenute in una nota Circolare della Procura di Roma. Due posizioni, dunque, francamente antitetiche. Né si può sottacere la preoccupazione, più volte manifestata da parte dell’avvocatura, per quell’ampliamento dei “presupposti” per l’utilizzo delle intercettazioni “per i reati contro la pubblica amministrazione”, fortemente voluto dalla magistratura e ritenuta in quell’ambito ancora insufficiente. Anche qui, evidentemente, si confrontano due visioni assai differenti dei valori del processo e delle garanzie dell’individuo. Anche le finalità repressive devono infatti trovare un limite nella legge e gli strumenti investigativi devono confrontarsi sempre con i criteri della ragionevolezza e della proporzione. Tuttavia, nell’ambito del dibattito apertosi sulla riforma delle intercettazioni, il giudizio relativo alla applicabilità dei più sofisticati ed invasivi strumenti intercettativi anche ai reati contro la P. A. è stato impostato su basi puramente “politiche”, come se il nostro ordinamento penale potesse essere oggetto di una contesa giocata su valutazioni sganciate del tutto da un contesto valoriale ancorato a solidi principi costituzionali. E, sul punto, la Corte costituzionale ha più volte ricordato, a tutela della legalità processuale, come le scelte del legislatore debbano essere giustificate da conoscenze empiriche dei singoli fenomeni criminosi. Equiparare mafia, terrorismo e reati contro la P. A. sfugge del tutto a questo sfondo conoscitivo, traendo spunto più dalle prospettive soggettive di questo o quel singolo magistrato, che da una seria, rigorosa e condivisa indagine di tipo criminologico. Ora che la riforma delle intercettazioni sembra subire una battuta di arresto a seguito della contrarietà espressa da avvocatura e magistratura occorrerà sottoporre la legge ad una complessiva revisione che, se non si vuole lasciare al giudice delle leggi la tutela dei diritti, non potrà che essere operata in senso garantista. L’efficienza di uno strumento investigativo non si misura infatti in base alla sua efficienza, ma in virtù della sua congruità e compatibilità con l’intero sistema dei valori, dei diritti e delle garanzie di rango costituzionale. Si tratterebbe per il nuovo legislatore dell’unico modo serio di fare le leggi e di celebrare al tempo stesso i settant’anni della nostra Carta fondamentale.