Il cuore della piccola Indi Gregory ha smesso di battere questa notte alle ore 1.45. Dopo l’ultimo verdetto di venerdì scorso, quando la Corte inglese ha rifiutato anche in appello la richiesta dei genitori di portare la bimba in Italia, Indi ha lasciato il Queen's Medical Centre di Nottingham ed è stata trasferita in un hospice. Lì le è stata gradualmente interrotta la ventilazione assistita ed è stata agganciata a strumenti alternativi con la somministrazione di farmaci palliativi per alleviarne le sofferenze.

«Io e mia moglie Claire siamo arrabbiati, affranti e pieni di vergogna», dice il papà Dean Gregory riferendo il decesso. «Il servizio sanitario nazionale e i tribunali non solo le hanno tolto la possibilità di vivere, ma le hanno tolto anche la dignità di morire nella sua casa. Sono riusciti a prendere il corpo e la dignità di Indi, ma non potranno mai prendere la sua anima», denuncia il papà. «Sapevo che era speciale dal giorno in cui è nata, hanno cercato di sbarazzarsi di lei senza che nessuno lo sapesse ma io e Clare ci siamo assicurati che sarebbe stata ricordata per sempre».

Il verdetto della Corte 

Il 6 novembre il governo Meloni aveva concesso la cittadinanza italiana alla piccola affetta da una rara e grave patologia mitocondriale per consentirle il trasferimento al Bambino Gesù di Roma. Venerdì scorso, però, dopo una serie di ricorsi e pronunce, il giudice inglese ha rifiutato anche in appello l’ultimo tentativo della famiglia per ottenere il trasferimento in Italia e ha disposto lo stop ai trattamenti vitali. Sabato la piccola Indi è stata trasferita sotto scorta di polizia dal Queen's Medical Centre di Nottingham a un vicino hospice. Lì le è stata gradualmente interrotta la ventilazione assistita ed è stata agganciata a strumenti alternativi con la somministrazione di farmaci palliativi per alleviarne le sofferenze. L’agonia è durata un giorno e mezzo e si è conclusa all’1.45 di lunedì mattina, le 2.45 ora italiana. La mamma «l’ha tenuta con sé per i suoi ultimi respiri», riferisce il papà. 

La battaglia legale

Il 2 novembre l’Alta Corte inglese aveva stabilito che la piccola non potesse essere trasferita in Italia, nonostante la disponibilità dell’ospedale del Vaticano nell’accoglierla, come accaduto nei casi precedenti di Charlie Gard e Alfie Evans. Per il giudice inglese, che aveva già autorizzato i medici a procedere con il distacco del sostegno vitale, il viaggio avrebbe esposto la bimba a ulteriori rischi e inutili sofferenze. «Non c’è nulla che suggerisca che la prognosi di Indi Gregory sarebbe modificata in modo positivo dal trattamento dell’ospedale italiano», aveva spiegato il giudice Peel. Per il quale le prove mediche fornite dall’ospedale di Nottingham erano «unanimi e chiare»: secondo il sistema sanitario britannico quella di Indi è una condizione incurabile, e prolungare i trattamenti che la tenevano in vita avrebbe significato prolungarne l’agonia.

La famiglia però non si arrende, forte dell’aiuto fornito dall’Italia. Che con un Consiglio dei ministri lampo il 6 novembre ha conferito alla bimba la cittadinanza italiana per poter agevolare il trasferimento sulla base dell’articolo 9 comma 2 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, «in considerazione dell’eccezionale interesse per la comunità nazionale ad assicurare al minore ulteriori sviluppi terapeutici». Un tentativo in extremis per impedire la sospensione dei trattamenti che tenevano in vita la bimba e annullare il verdetto del giudice, che aveva già autorizzato l’ospedale di Nottingham a interrompere le terapie nel pomeriggio del 6 novembre. Per la Corte il sostegno vitale va rimosso “nel migliore interesse del minore”, e va rimosso in ospedale, presso il Queen’s Medical Center di Nottingham, dove la bimba è ricoverata, o in un hospice. Perché sarebbe «quasi impossibile», scrive il giudice, gestire il fine vita a casa senza rischi di complicazioni.

Nel frattempo, prosegue la battaglia legale fra Italia e Gran Bretagna. L’8 novembre il console italiano a Manchester Matteo Corradini emette un provvedimento d’urgenza che riconosce l’autorità dei tribunali italiani in questo caso. Lo stesso console, in qualità di giudice tutelare della bambina, giovedì mattina presenta una richiesta urgente all’Alta Corte del Regno Unito per ottenere la giurisdizione sul caso ai sensi della Convenzione dell’Aia. L’ordine del giudice inglese viene prorogato di ora in ora, fino all’ultimo rinvio strappato dalla famiglia in attesa del verdetto di venerdì scorso. 

Per Indi si erano mobilitate associazioni 'pro life' cristiane in Gran Bretagna e tante altre in Italia, anche Papa Francesco all'Angelus aveva detto di pregare per lei.  Indi, ha denunciato su X il movimento Pro Vita, «è stata uccisa 'nel suo miglior interesse' da un sistema sanitario e legale impregnato di barbara cultura eutanasica, che ha rifiutato anche solo di tentare la differente proposta clinica dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma soffocando l'amore dei suoi genitori nelle aule di tribunale».

Meloni: “Abbiamo fatto il possibile”

“Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, tutto il possibile. Purtroppo non è bastato. Buon viaggio piccola Indi”, scrive su X la premier Giorgia Meloni. Dopo aver conferito alla bimba la cittadinanza italiana, la premier aveva chiesto direttamente alla Gran Bretagna il trasferimento della bimba in Italia in base alla Convenzione dell'Aia del 1996 con una lettera indirizzata al Lord Cancelliere e Segretario di Stato per la Giustizia del Regno Unito “al fine di sensibilizzare le autorità giudiziarie” inglesi. Meloni chiedeva di rendere possibile alla piccola “di poter accedere al protocollo sanitario di un ospedale pediatrico del nostro Paese”.

Pillon: “Il diritto rischia di perdere il buon senso”

“Chi oggi sostiene posizioni eutanasiche in Italia deve essere ben consapevole del fatto che, domani, ci sarà un tribunale o un équipe di medici che decideranno se la tua vita, o quella di tuo figlio, sono degne o non degne di essere vissute. E tutto questo potrebbe accadere contro la volontà dell'individuo, pensiamoci bene, noi che siamo ancora in tempo”, commenta all’Adnkronos Simone Pillon, l’ex senatore leghista che ha seguito la vicenda come legale della famiglia di Indi Gregory in Italia. “Sono distrutto, piango da stanotte”, prosegue Pillon. “Indi ha fatto un miracolo, ci sta facendo comprendere che i valori che noi diamo per scontati in Italia, il valore di sacralità della vita, una volta perduto è perduto per sempre. Cose che per noi sembrano inconcepibili vengono fatte in un Paese che ha una civiltà giuridica millenaria, come quella inglese, perché quando si arriva a livelli troppo sofisticati di diritto, si rischia poi di perdere il buon senso”. L'ex senatore leghista insiste sul fatto che in Italia si dia “per scontato che l'interesse del bambino sia, in primo luogo, quello di essere assistito, di essere tenuto vivo. Ma se lasciamo che siano i burocrati a decidere 'nell'interesse superiore' a quel punto poi tutto è possibile, anche che una bambina sia condannata a morte, come è successo per Indi, nonostante i genitori avessero chiesto tutte le cure del caso e nonostante tutte le cure del caso fossero state offerte”.