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Proteste in piazza a Tel Aviv in Israele
Nei piani militari di Israele per rispondere all’attacco missilistico e con droni dell’Iran di neanche una settimana fa ci sarebbero degli interventi mirati con l’utilizzo dell’aviazione. Un intervento di tipo tradizionale avente come obiettivo le strutture dei pasdaran e i depositi di armamenti presenti in Siria, a poca distanza dal Libano, dove le Guardie della Rivoluzione, con il supporto fondamentale di Hezbollah, mantengono costantemente puntati i loro missili verso Israele. I vertici militari di Tel Aviv intendono temporeggiare ancora un po’. In caso di contrattacco si intende ridurre al massimo il numero delle vittime civili. Mai come in questo momento, il freno della prudenza ha una chiara valenza politica. L’esorbitante numero di vittime sulla Striscia di Gaza, dopo gli attacchi sanguinari di Hamas del 7 ottobre 2023, indurrebbe a non continuare ad applicare la regola del “sangue chiama sangue” in una insopportabile spirale di violazioni internazionali – da entrambi le parti in causa – che viene riconosciuta dagli osservatori più lucidi, seri e imparziali.
Se all’estero si osservano con attenzione le mosse future dei generali di Benjamin Netanyahu, in Israele l’opinione pubblica ha espresso con nettezza la propria contrarietà a un attacco verso l’Iran, destinato a mettere ulteriormente a repentaglio la sicurezza nazionale. A dimostrarlo è un sondaggio promosso dall’Università Ebraica di Gerusalemme, che tra domenica e lunedì scorsi ha interpellato quasi 1500 persone (1466 per la precisione) dai diciotto anni in su. Il dato percentuale che ne è scaturito indica con chiarezza la contrarietà degli israeliani ad un contrattacco nei confronti dell’Iran. Il 74% degli intervistati ritiene che la risposta di Tel Aviv metterebbe a rischio l’alleanza con gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia e i Paesi arabi moderati, come Giordania e Arabia Saudita.
I ricercatori della Università Ebraica, guidati da Nimrod Nir, hanno chiesto al campione degli intervistati se ritengono che Israele debba replicare all'attacco iraniano di sabato scorso. Il 52% ha sostenuto che è meglio non gettare benzina sul fuoco, nel senso che è opportuno non rispondere all’Iran tentando di porre fine al botta e risposta. C’è, però, anche un’altra fetta di popolazione israeliana, pari al 48%, secondo la quale Israele dovrebbe intervenire militarmente contro Teheran, assumendosi il rischio di un’estensione dell’attuale conflitto. Un’altra parte degli intervistati – il 25% - ritiene invece necessario, come per la Striscia di Gaza, avviare un’operazione militare direttamente sul territorio iraniano, mentre più di un terzo è favorevole di un’operazione strategica per neutralizzare la minaccia nucleare proveniente dall’Iran. Sull’affidabilità del governo e sulla efficienza militare di Israele, in caso di ipotetico conflitto prolungato contro l’Iran, il 46% degli intervistati ha affermato che il governo israeliano è forte. Il 27% ha affermato che il governo di “unità nazionale” è debole e un altro 27% ha risposto che l’esecutivo non è né forte né debole.
Nelle analisi dei mesi scorsi è stato rilevato che Israele non deve correre il rischio di isolarsi. Prospettiva riguardante non solo nel Medio Oriente. Questo tema ricorre in un ulteriore quesito del sondaggio dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Più della metà dell’opinione pubblica è convinta che Israele debba tenere conto delle richieste di sicurezza degli alleati, rispetto al 12% che si oppone e che continua ad immaginare scelte unilaterali sganciate da qualsiasi confronto e interlocuzione. Quasi il 60% dei cittadini interpellati considera utile l'aiuto degli Stati Uniti nel caso di attacco contro l'Iran con un coordinamento a guida israeliana per garantire la sicurezza nazionale. Infine, il 43% degli intervistati considera preziosa la collaborazione con gli alleati di Israele anche su un altro fronte molto caldo, quello dell’organizzazione della sicurezza a Gaza e in Cisgiordania. Un quarto dei cittadini non è d’accordo su questo punto per cui la guerra sulla Striscia di Gaza è una questione che riguarda solo Israele. Un terzo degli intervistati ha rifiutato di rispondere su questo punto.
Il sondaggio dell’Università Ebraica di Gerusalemme offre un quadro significativo sugli orientamenti della popolazione israeliana. L’Isolamento internazionale, le tensioni con gli alleati, a partire dagli Stati Uniti, la guerra con l’Iran e i suoi proxy rischiano di complicare una situazione già molto delicata, dopo quasi sette mesi di guerra sulla Striscia di Gaza. Ma il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu intende, noncurante dei sondaggi e delle proteste, andare avanti come un treno. Ieri, durante un incontro con i ministri degli Esteri della Germania, Annalena Baerbock, e del Regno Unito, David Cameron, ha confermato la linea che intende seguire: il diritto all’autodifesa di Israele non potrà essere compromesso e la reazione contro l’Iran è inevitabile. «Voglio che sia chiaro – ha detto Netanyahu -, prenderemo le nostre decisioni e lo Stato di Israele farà tutto il necessario per difendersi».