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garante detenuti
di Luca Muglia*
L’Ufficio che mi accingo a coordinare è chiamato ad affrontare diverse questioni, meritevoli tutte di attenzione, tenuto conto delle criticità che affliggono il territorio calabrese. Il tema delle condizioni delle persone detenute o private della libertà personale va certamente affrontato avuto riguardo alla tutela della dignità personale, alla presunzione di innocenza, al senso di umanità delle pene e alla idoneità dei luoghi di detenzione. I diritti inviolabili della persona rischiano, tuttavia, di divenire mere affermazioni di principio se non accompagnati da pragmaticità e concretezza.
Le emergenze, non solo calabresi, sono piuttosto evidenti: sovraffollamento carcerario, carenze di personale, incremento dei suicidi in carcere, compressione delle libertà fondamentali. Si aggiungano gli effetti della recente pandemia. Si fa largo, quindi, la urgente necessità di riconoscere e garantire un diritto complessivo ed omnicomprensivo all’erogazione effettiva delle prestazioni minime, dal diritto alla salute al diritto a vivere in spazi adeguati, dai diritti al lavoro, all’istruzione e al reinserimento sociale al diritto di praticare il culto religioso, dal diritto alle relazioni e agli affetti familiari alla regolamentazione dei colloqui e delle videochiamate. Ma le priorità del pianeta carcere non potranno essere risolte se non si scioglie, una volta per tutte, il nodo culturale.
Invero la percezione collettiva della persona detenuta, o altrimenti ristretta, continua a subire pregiudizi e condizionamenti emotivi in grado di pregiudicare persino l’efficacia delle riforme legislative. La stessa riforma Cartabia, nella parte in cui introduce modifiche di rilievo in materia di esecuzione della pena detentiva e/ o sostitutiva, favorendo anche il ricorso a programmi di giustizia riparativa, rischia di essere del tutto vanificata o ridimensionata dal pregiudizio culturale. Sarà necessario, pertanto, monitorare a stretto giro l’applicazione della nuova normativa. Come affermava l’indimenticato Pietro Barcellona la giustizia statuale viene costruita soltanto sull’esteriorità dei comportamenti osservati, “non sulla loro reale e profonda interiorità”.
In realtà una giustizia che voglia realmente accertare le carenze psicofisiche o le altre cause che hanno condotto al reato, come sanciscono le attuali norme sull’ordinamento penitenziario, non può limitarsi ad operazioni formali o di facciata che non scendano in profondità. Se così fosse qualsiasi programma di reinserimento sociale sarebbe già morto in partenza. L’obiettivo di conciliare la tutela dei diritti umani e il recupero sostanziale dell’individuo con le esigenze di sicurezza sociale rappresenta un percorso universale di civiltà, non solo giuridica, che non può e non deve soggiacere ai pendoli emotivi o alle logiche politiche di turno. La posta in gioco è alta. Il diritto del colpevole ad essere punito per quello che fa e non per quello che è, da una parte. Il diritto del condannato ad una seconda chance, dall’altra. Ecco perché un approccio interdisciplinare, “integrato”, in grado di indagare fino in fondo la natura umana, avvalendosi anche del contributo delle neuroscienze, risulta ormai improcrastinabile.
Occorre prendere atto finalmente che l’irrogazione della pena nasconde un momento identificatorio collettivo in cui, come dice Alfredo Verde, le parti delinquenti di tutti vengono proiettate sul reo, che diviene così “qualcos’altro”. Ciò significa, a mio giudizio, che l’isolamento sociale delle persone in conflitto con la legge o private della libertà personale, prima ancora che nei fatti, si annida nella nostra mente. Purtroppo, fino a quando la società civile non maturerà in modo capillare e diffuso tale intima consapevolezza, l’unica pena possibile continuerà ad essere il carcere. Al di là degli strumenti operativi, senz’altro importanti, la rete dei Garanti può veicolare un messaggio culturale nuovo e diverso che infonda speranza e restituisca dignità ai detenuti italiani. (*Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale della Regione Calabria)