Otto anni dopo l’ultima volta, Amanda Knox è tornata in Italia. Da «donna libera», come ospite del Festival della Giustizia penale a Modena, dal 13 al 15 giugno, per partecipare a un dibattito sul “Processo mediatico al cospetto dell’errore giudiziario”, in programma per sabato. Per raccontare la sua storia, quella dell’omicidio della sua coinquilina di Perugia, Meredith Kercher, per il quale è rimasta anni sotto processo. Condannata, poi assolta dalla Corte d’assise d’appello, dunque scarcerata a ottobre 2011, quando tornò senza voltarsi indietro negli Usa, da dove ha seguito il resto del processo. Un’assoluzione annullata in Cassazione, che ha portato ad un nuovo processo, una nuova condanna e, infine, all’ultimo verdetto: la sua irrevocabile assoluzione. Ma non senza scontare un’altra sentenza definitiva, piombata su lei e sull’allora fidanzato Raffaele Sollecito: quella dell’opinione pubblica, che li bollò subito come colpevoli, a prescindere da tutto.

Amanda è atterrata ieri a Milano Linate, con il volo Aer Lingus delle 11.40 proveniente da Dublino, in compagnia della madre Edda Mellas, del fidanzato Christopher e dei suoi legali. Ha dribblato gli scatti dei fotografi e i microfoni, che hanno tentato invano di strapparle una dichiarazione, rifugiandosi poi tra le braccia del suo fidanzato, dove poi è scoppiata in un pianto liberatorio. Senza lasciarsi sfuggire nemmeno una parola: quelle che pronuncerà al dibattito, ha chiarito via Twitter, diranno tutto ciò che c’è da sapere.

A Modena Amanda «parlerà della sua esperienza di donna ritenuta assassina da mezzo mondo e poi assolta in via definitiva», ha spiegato il presidente della camera penale modenese, Guido Sola. Una presenza inopportuna, secondo l’avvocato Francesco Maresca, legale della famiglia Kercher, che ha invitato a portare «rispetto» anche per i giudici che l’hanno «ritenuta colpevole» in diversi gradi di giudizio. Parole alle quali ha replicato Sollecito, che a Modena, invece, non ci sarà. «Io e Amanda siamo vittime e da persone libere abbiamo diritto a partecipare ai convegni ai quali ci invitano - ha dichiarato all’Adnkronos - Non ci vedo nulla di inopportuno». E a commentare il suo ritorno in Italia è stato anche Claudio Pratillo Hellmann, il presidente della Corte d'assise d'appello di Perugia, che l'assolse. «Torna in Italia da libera cittadina come tanti altri - ha sottolineato - Quella sentenza ha contribuito a evitare un grande errore giudiziario. Ancora più grave visto che gli imputati erano molto giovani».

Prima di arrivare a Modena, Amanda ha affidato il suo commento ad un lungo articolo, pubblicato su Gen Medium. Dove ha raccontato del documentario sulla sua storia, disponibile su Netflix, col quale, ha spiegato, credeva di poter far capire «qualcosa sui pericoli dei media senza scrupoli» e di far «vedere almeno un assaggio della me reale». Ma anche la pubblicizzazione dello stesso l’ha fatta diventare, senza volerlo, «il contenuto di qualcun altro». Nel suo articolo Amanda parla dei media, della cannibalizzazione della vita privata

Come accaduto a lei, le cui abitudini, paure, perfino il diario segreto scritto in carcere, sono stati dati in pasto all’opinione pubblica. E una volta libera, costretta ad essere famosa senza poter essere “social”, salvo accettare insulti e minacce. E così, per un po’ di tempo, è rimasta nel buio. Fino a quando non ha deciso di esporsi, pagando il prezzo di dover «assorbire gli insulti e l'odio e di nutrire la mia vita nella macchina dei contenuti che sembra infinitamente affamata, specialmente ora che torno in Italia». Un meccanismo irreversibile, forse. Anche se qualcuno, nel flusso continuo dei commenti sulla sua vita, le ha dato speranza. Una donna che, piangendo, le ha detto: «mi dispiace di averti trattato come intrattenimento».