«Rischiamo una guerra mondiale e occorre una diplomazia coraggiosa e forte. L’Italia potrebbe ritagliarsi un ruolo molto importante, in questo contesto in cui si è acuita la crisi mediorientale, con l’organizzazione a Roma di una conferenza internazionale sul Medio Oriente».

Pejman Abdolmohammadi, professore di relazioni internazionali del Medio Oriente nell’Università di Trento e ricercatore associato Ispi, non nasconde preoccupazione dopo l’attacco missilistico dell’Iran contro Israele e al tempo stesso analizza gli scenari del presente e del futuro prossimo.

Professore, l'attacco dell'Iran con missili e droni è l’inizio di una prova di forza o solo la dimostrazione di una risposta verso Israele senza alcuna convinzione?

È una risposta a una violazione consumatasi nelle scorse settimane. Ritengo che questo sia un aspetto importante da sottolineare. La Repubblica Islamica dell'Iran ha voluto realizzare un’azione dimostrativa per il proprio pubblico, che non è composto solo dai cittadini iraniani, e che si trova al di fuori dei confini iraniani. Mi riferisco a quel pubblico che fa parte dei cosiddetti proxy, i militanti dell'islamismo globale senza escludere la sinistra globale cui piace essere sempre antimperialista e antisraeliana. Abbiamo assistito a una dimostrazione di forza da parte di coloro che, in qualche modo, si reputano gli ultimi del mondo e vedono in Israele il grande usurpatore. Inoltre, un elemento da non sottovalutare, è che l’attacco contro Israele è partito per la prima volta dal territorio iraniano, ragion per cui si rischia una escalation importante.

L'Iran, dopo i missili lanciati pochi giorni fa, potrebbe colpire diversamente Israele anche in giro per il mondo?

La Repubblica Islamica in questo momento non intende andare avanti. Credo, dunque, che per l’Iran finisca qui. Chiaramente adesso la palla è nelle mani di Israele. Il governo israeliano dovrà mostrare saggezza nel non dover dare adito ad un botta e risposta. Se ci dovesse essere, come probabile, una nuova azione israeliana, non ci troveremmo di fronte ad una risposta, ma ad un nuovo atto di aggressione e si andrebbe verso una guerra.

Gli Stati Uniti stanno cercando di gettare acqua sul fuoco e di indurre alla ragionevolezza. Verranno ascoltati?

Non è detto, perché chi conosce bene il sistema di potere israeliano sa che Tel Aviv non prende ordini da nessuno. A maggior ragione da un governo miope, con una strategia fallimentare, come quello di Biden. Il presidente degli Stati Uniti non credo che riuscirà a dettare dei comportamenti e delle politiche di guerra a Netanyahu, considerato che i due sono molto distanti per quanto riguarda la visione politica. Non dimentichiamo che l’attacco iraniano direttamente contro Israele è un evento inedito. Per diverse volte Israele non ha colpito l’Iran in modo tradizionale, ma lo ha fatto con azioni mirate contro gli scienziati e i pasdaran della Repubblica Islamica. È la prima volta che la Repubblica Islamica non usa i proxy e quindi si muove come Stato. Questo è un elemento, sotto certi versi, di novità. Tale elemento, però, viene meno se consideriamo l’attacco missilistico quasi come un atto dovuto, una risposta, dopo tantissime ingerenze. Siamo di fronte ad attori che violano la sovranità nazionale altrui. Questo modo di fare, ormai, è diventato una pratica. Lo fanno, ad esempio, pure la Turchia e il Pakistan. Ognuno attacca l’altro con conseguente crisi del diritto internazionale.

Come si corre ai ripari di fronte a questo caos?

Ci vuole una riforma dell'Onu. Le Nazioni Unite sono paralizzate e spesso assistiamo ad una vera e propria anarchia internazionale con uno scenario nel Medio Oriente che si complica ulteriormente.

La guerra sulla Striscia di Gaza continuerà e Hamas avrà ancora una forte influenza su quel territorio?

Hamas, Hezbollah e tutte le organizzazioni che utilizzano l'Islam come ideologia politica demorderanno soltanto quando il motore, mosso soprattutto dall’economia e dalla finanza di Teheran e Doha, non avrà più il sostegno di una parte del mondo cosiddetto liberaldemocratico. Fino a quando ci sarà un presidente come Biden, che ha scongelato 6 miliardi di dollari nei confronti di Teheran, dopo che l’Iran ha represso la sua stessa popolazione, o riabilita nell'economia internazionale il Qatar, che ospita i capi di Hamas e dei talebani, è inutile pensare di cambiare rotta. È un cane che si morde la coda. Non possiamo dare lezioni di moralismo, quando noi siamo dentro il sistema. Bisognerebbe riprendersi e difendere davvero i valori del mondo liberaldemocratico.

Hezbollah verrà utilizzato dall'Iran per impensierire Israele a Nord e non dargli nessuna tregua?

Assolutamente sì. Se l’Iran è influente sul confine israeliano, dalla parte libanese, ricordiamoci anche che Israele, questo non lo dicono tanti, incombe su Teheran, perché ha delle importanti entrature sul territorio dell'Azerbaijan. E qui ho detto tutto.

Dopo le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, lo scenario potrebbe complicarsi ulteriormente se dovesse vincere Trump?

Questa è una domanda molto importante. Secondo me, sicuramente le elezioni statunitensi saranno un punto di arrivo, perché c'è il pericolo che prima di questo appuntamento scoppi la terza guerra mondiale. Pertanto, bisognerebbe già intervenire con un'azione diplomatica seria. Io, a tal proposito, sto cercando di incoraggiare Palazzo Chigi. In questo momento abbiamo la grande occasione, un’occasione storica la definirei, di organizzare a Roma una conferenza internazionale con il coinvolgimento dei principali attori mediorientali. Se non vogliamo prenderci carico di quanto sta avvenendo nella crisi russo- ucraina, agiamo almeno sul Medio Oriente. Occorre, però, muoversi per tempo, prima delle elezioni americane.