Quando Licio Gelli è morto, nel dicembre del 2015, la famosa villa Wanda è passata nella proprietà di una società di Pistoia alla quale fanno capo l’ultima moglie di Gelli, Gabriela Vasile, la sua ex badante rumena, e il nipote Alessandro Marsili. Alla morte di Gelli, il questore di Arezzo Enrico Moja ha chiesto prima il sequestro e poi la confisca della villa, attivando la procedura per le persone pericolose o sospettate di mafia anche se defunte. La richiesta del questore è stata fatta propria nel settembre di quest’anno dal procuratore di Arezzo Roberto Rossi che a sua volta la ha inoltrata al tribunale.

E dopo una intricata vicenda la villa è a un passo dal sequestro.

Ci volevano cinque filippini per tenerla in ordine, al tempo del suo splendore. Quando potenti e accattoni, ambiziosi in ascesa e arroganti in declino di ogni parte d’Italia venivano lì a riverirlo e chiedere favori. E lì tesseva la sua tela, il Gran Maestro Venerabile dell’Oscuro, Licio Gelli, lì a Villa Wanda, sul colle di Santa Maria delle Grazie nell’Aretino. L’aveva comprata per una somma anche all’epoca, 1968, non da capogiro, dodici milioni di lire da uno dei fratelli Lebole, Mario, che avevano fatto parte del miracolo italiano, con abiti pronti tipo sartoriale. “Ho un debole, per l’uomo in Lebole”, chi se lo ricorda? Ma l’aveva comprata con un mutuo ipotecario da trenta milioni presso l’allora Cassa di risparmio di Firenze. Non era ancora Licio Gelli. Era un ex direttore commerciale della Per- maflex, materassi con le molle, un altro “miracolo” di quegli anni nato dall’idea di un ambulante di stracci, dove era entrato nel 1956 e dove aveva portato i contatti per il colpo di genio: primo stabilimento industriale a Frosinone, Cassa del Mezzogiorno. C’era la manina di Andreotti, certo, era il suo collegio elettorale. Quando era andato via sbattendo la porta – e portandosi dietro una storia intricata di un debito di trecento milioni – aveva appena procurato all’azienda contratti per la fornitura di materassi in tutte le carceri italiane, commesse per l’esercito e per gli ospedali. Poi, primi anni Settanta, per la Permaflex fu il declino. Ma Gelli era già da tempo Venerabile Maestro.

È solo una leggenda che a Villa Wanda siano stati trovati gli elenchi degli iscritti alla P2, la temibile Loggia Propaganda, che invece erano nel suo ufficio di Castiglion Fibocchi; ma è vero che lì si trovarono i suoi lingotti d’oro. Quando Gelli è morto, nel dicembre del 2015, la villa è passata nella proprietà di una società di Pistoia alla quale fanno capo l’ultima moglie di Gelli, Gabriela Vasile, la sua ex badante rumena, e il nipote Alessandro Marsili. E succede che, alla morte di Gelli, il questore di Arezzo Enrico Moja chiese prima il sequestro e poi la confisca della villa, attivando la procedura per le persone pericolose o sospettate di mafia anche se defunte, il decreto legislativo 159/ 2011. La richiesta del questore fu fatta propria nel settembre di quest’anno dal procuratore di Arezzo Roberto Rossi che a sua volta la inoltrò al tribunale.

E a ottobre la sentenza del Tribunale di Arezzo, presidente della sezione penale Gianni Fruganti: tredici pagine di motivazioni che si concludono con un dispositivo secco: «Il tribunale di Arezzo respinge la richiesta come sopra presentata da questore in Arezzo nei confronti degli eredi o aventi causa di Gelli Licio». Punto. Il nodo è il 18 ottobre 1968, il giorno nel quale viene steso dal notaio l’atto di cessione della villa: in aula non sono state portate le prove che prima di quella data il Venerabile fosse dedito abitualmente a attività delittuose o che Villa Wanda sia stata acquistata con il provento di reati, le due condizioni richieste dalla legge. «La pericolosità al tempo del Gelli ( non) può essere ritenuta sulla base di un’operazione che pretenda di proiettare – così estendendola a ritroso – l’eventuale pericolosità successiva a un periodo precedente, nel quale di essa non vi siano tracce concrete».

Ineccepibile, anche se può far storcere il naso. Ma il procuratore Rossi, che si è distinto nei confronti di Banca Etruria e che già nel 2013 aveva ottenuto il sequestro della villa perché riteneva che il passaggio di proprietà dalla società dei figli a quella di moglie e nipoti fosse un modo di frodare l’erario – e poi Gelli se la cavò con la prescrizione – non ci sta e presenta ricorso. Eccepisce che all’epoca dell’acquisto contrariamente a quanto affermato nel suo verdetto dal giudice Fruganti, Licio Gelli, pur non essendo formalmente coinvolto in gravi vicende giudiziarie, preparava la sua ascesa, quella che ne avrebbe fatto uno dei protagonisti di molti misteri degli ultimi anni di cronaca italiana. Il giudizio di pericolosità deve essere dunque antedatato a prima del 1968. Secondo il procuratore infine, non sarebbero chiari neppure i passaggi d’acquisto della villa.

E qui entriamo nella materia oscura. Perché il tempo diventa una variabile dipendente: dai punti di vista e dalle intenzioni. Se tu, mettiamo, nel 1998 hai commesso un reato ma nel 1968 – anno fatale – “sembrava” che non facessi alcunché di penalmente rilevabile ma “coltivavi” dentro di te l’intenzione di commetterlo trent’anni dopo, ebbene questa curvatura del tempo va letta tutta a partire dal 1998. E come potrebbe mai essere dimostrabile l’incontrario? Siamo, si potrebbe dire, “portatori sani” di reato – che prima o poi commetteremo, sottoponendo perciò la nostra intera vita, la professionalità, le proprietà, al giudizio. Le prove? Beh, il reato di “dopo”.

E c’è poi un’ulteriore elemento di angoscia: non sarebbero chiari i passaggi di proprietà della villa. Non ci sono bonifici, IBAN, RID che dimostrino che effettivamente dei soldi, a scadenza fissa e verificata e con motivazione accertata, siano passati dal nuovo proprietario A ( Gelli) al vecchio proprietario B ( Lebole). Che importa che all’epoca non si registrassero in questo modo i versamenti? Atto dal notaio, firme di Lebole, potrebbe essere stato tutto estorto, tutto finto. E se passaggio di denaro reale c’è stato, quei soldi potrebbero essere stati il frutto di reato. Le prove? Beh, così è andata dopo, per tante cose, perciò.

Il che getta nel panico chiunque per qualunque oggetto. Un po’ come la storia dell’immigrato fermato dalla polizia perché aveva una bicicletta troppo nuova e, siccome non è la prima volta, cammina con lo scontrino in tasca. Dio non voglia ci capiti di commettere tra qualche anno un reato, dobbiamo cercare di recuperare gli scontrini per ogni oggetto, grande o piccolo, per ogni proprietà in nostro possesso? Il vincolo dei cinque anni per questo tipo di movimenti deve estendersi a tutta la vita? Dovremo affittare dei box per tenere in scatoloni e tutti ben identificati con anno e oggetto i versamenti che facciamo?

Mi sa che conviene farsi un elenco. Hai visto mai.