Il Consiglio Nazionale Forense, nella seduta del 17 gennaio scorso, ha proclamato, all’unanimità, il 2020 “Anno dell’avvocato in pericolo nel mondo”. La delibera nasce dall’esigenza di tutelare la libertà e l’autonomia degli Avvocati, compito che la legge 247/ 2012, recante la nuova disciplina dell'ordinamento forense, attribuisce al C. N. F. e dal patrimonio diretto di conoscenze che abbiamo acquisto in questi anni sulle gravissime violenze, repressioni ed intimidazioni ai danni dei difensori, che si registrano in molti Stati.

Tale patrimonio conoscitivo è anche frutto di una serie di azioni poste in essere in questi anni, anche sul campo, attraverso l’invio di osservatori internazionali ai processi all’estero a carico di colleghi ingiustamente arrestati e processati e con la partecipazione a missioni conoscitive all’interno delle carceri, a seguito delle quali sono stati pubblicati comunicati ed inviati appelli alle Autorità dei Paesi dove avvengono le più gravi violazioni dei diritti umani e, conseguenti, compromissioni del diritto della difesa.

Colpire gli Avvocati significa indebolire i principi fondanti dello stato di diritto e del giusto processo, riconosciuti dalle convenzioni internazionali, privando i cittadini della possibilità di difendersi dalle accuse. Gli Avvocati subiscono violenze ed intimidazioni, in molti casi pagando il loro impegno addirittura con la vita, oppure vengono assimilati ai loro clienti, finendo per essere accusati di concorso negli stessi reati dei quali i loro assistiti sono imputati.

Basta pretendere che vengano rispettate le procedure di legge, partecipare ad attività dei Consigli dell’Ordine o di associazioni di Avvocati, firmare una petizione sui social sgradita alle Autorità oppure essere accusati da testimoni la cui identità è segreta, per essere arrestati, sottoposti a processo e condannati a pesanti pene detentive.

Questo inserto speciale, che raccoglie gli scritti e le testimonianze di colleghi impegnati su questi temi, è stato concepito allo scopo di accrescere il patrimonio di conoscenze dell’opinione pubblica, non solo per il dovere etico di solidarietà nei confronti dei colleghi ma anche nella consapevolezza che, in un mondo sempre più interconnesso, non possiamo immaginare che non ci riguardi ciò che accade in Paesi, talvolta non molto distanti dal nostro: basti pensare ai lavoratori ed alle imprese italiane che operano in quei contesti ed ai cittadini che sono costretti ad abbandonare i loro paesi di origine, chiedendo asilo e protezione internazionale, con le conseguenze che tutti conosciamo.