«L’FSV Mainz 05 pone fine al rapporto contrattuale con Anwar El Ghazi e ha licenziato il giocatore con effetto immediato. Il club sta adottando questa misura in risposta alle dichiarazioni e ai post del giocatore sui social media». Un comunicato secco che non lascia spazio a interpretazioni diverse rispetto al suo contenuto. Così Anwar El Ghazi, talentuoso calciatore olandese di origini marocchine, si è ritrovato dal giorno all’indomani senza squadra e senza occupazione.

La vicenda risale al 27 ottobre scorso quando El Ghazi ha pubblicato un post su internet nel quale si schierava a fianco della Palestina, lo scritto era inequivocabile anch'esso e recitava: “Palestina libera dal mare al fiume”. Questa frase può significare l'esclusione del diritto di Israele di esistere come territorio ma è anche usata come locuzione comune da molti che sostengono il diritto dei palestinesi ad avere una propria terra senza necessariamente odiare gli ebrei.

Dopo il primo post del calciatore il Mainz lo aveva sospeso cautelativamente in attesa di scuse pubbliche, la società tedesca lo aveva reintegrato qualche giorno dopo, dichiarando che El Ghazi si era pentito. In realtà non è accaduto nulla tutto ciò, al contrario il giocatore ha difeso la sua scelta di esprimersi sull’emergenza umanitaria nella Striscia, prendendo una decisione che potrebbe costargli la carriera in maniera definitiva. Almeno nel cosiddetta calcio che conta.

Così è di nuovo tornato a scrivere qualche riga sul tema e forse per l'ultima volta: «Per evitare dubbi, quanto ho postato in data 27 ottobre 2023 è il mio ultimo pensiero. Qualsiasi altra cosa attribuita a me non è corretta nei fatti e non è stata fatta o autorizzata da me. La mia posizione rimane la stessa di partenza: sono contro la guerra e la violenza; contro l'uccisione di civili innocenti; contro ogni forma di discriminazione; contro l'islamofobia; contro l'antisemitismo; contro i genocidi; contro l'apartheid; contro l'occupazione e l'oppressione».

A ben vedere non si tratta minimamente di un incitamento all'odio razziale o religioso, piuttosto la presa di posizione contro la guerra, a sostegno della popolazione civile che sta soffrendo i bombardamenti di Israele a seguito del massacro compiuto da Hamas l'ormai fatidico 7 ottobre, ma anche di empatia verso i civili israeliani massacrati nei kibbutz e al rave del deserto del Negev. Non l’hanno vista in questo modo evidentemente nella dirigenza del Mainz la quale è passata direttamente al licenziamento del calciatore.

In Germania esistono in effetti giuste e severe leggi che sanzionano la discriminazione razziale e l’incitamento all’odio ma forse le parole di El Ghazi hanno messo in crisi qualcos’altro, e cioè la rappresentazione posticcia di un calcio come mondo separato dalla realtà e dalle sue implicazioni sia pure drammatiche come quelle di un conflitto.

Un'illusione non così candida perché si tratta di un'industria che produce miliardi di euro e che non esita a celebrare un mondiale in Qatar ( che ospita tanto per fare un esempio la dirigenza di Hamas) o che ha visto esplodere un vertiginoso giro di compravendita di calciatori con l'Arabia Saudita, non certo campione mondiale di diritti umani.

Da quando è iniziato il conflitto tra Israele e Hamas altri calciatori che militano nella Bundesliga hanno espresso solidarietà alla Palestina in diverse maniere più o meno nette come Noussair Mazraoui del Bayern Monaco, Aissa Laidouni dell’Union Berlin, Youcef Atal, Ramy Bensebaini del Borussia Dortmund. Tutti però hanno mantenuto il proprio contratto, incassando le reprimende dei loro club e poi scusandosi pubblicamente.

Solamente El Ghazi ha rivendicato il suo pensiero e lo ha fatto sempre sui social media in una maniera che spiega molto su come funziona il mondo del pallone e la sua capacità di isolare chi non si attiene alle sue regole non scritte: stai zitto e gioca a calcio.

Il calciatore infatti si è espresso con grande amarezza: «Sostieni quel che è giusto, anche se devi farlo da solo». E poi ha aggiunto: «La perdita del mio reddito non è niente se confrontata con l’inferno scatenato contro gli innocenti e i vulnerabili nella Striscia di Gaza».

Forse proprio questo non è stato perdonato a El Ghazi, l'aver rinunciato a tanti milioni, e messo in discussione la certezza che lo spettacolo miliardario vada avanti senza intoppi, tenendo fuori la politica perché, parafrasando Vujadin Boskov «testa di giocatore deve essere buona solo per portare cappello». I calciatori sono dispositivi che producono soldi e per questo vengono ricompensati, sono l'elemento essenziale dello show, quasi come fossero dei replicanti, non possono esprimere sensazioni, sentimenti o comportamenti che non siano strettamente approvati dal sistema.