E invece no: si tratta davvero di 16 anni. Perché è prevista, in Italia, dall’ormai archeologica riforma Castelli dell’ordinamento giudiziario ( anno 2006) la punibilità disciplinare dei magistrati che dovessero “ledere indebitamente diritti altrui” con “pubbliche dichiarazioni o interviste che riguardino i soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione, ovvero trattati e non definiti con provvedimento non soggetto a impugnazione ordinaria”. È già perseguibile dunque il magistrato che violi un importantissimo “diritto altrui”, la presunzione di non colpevolezza, tutelato nientedimeno che dall’articolo 27 della Costituzione. Se proprio si vuol controllare di persona, ecco le coordinate della norma: articolo 2, comma 1, lettera v) del decreto legislativo 109/ 2006. Peccato che, in effetti, quasi nessuno ne conoscesse l’esistenza. Perché in 16 anni ne avevamo viste di tutti i colori. E dalle Procure erano filtrate ai giornali imbeccate di ogni genere. Altro che “diritti altrui”.

Non a caso l’ 8 novembre dell’anno scorso, il governo, su impulso della guardasigilli Marta Cartabia e del Parlamento, si è sentito in dovere di approvare il decreto sulla presunzione d’innocenza, che in alcuni passaggi ignora quasi la preesistenza di quelle misure del tutto simili. Si è dovuto ribadire il concetto, perché averlo già scolpito da tempo nella legge, evidentemente, era servito a ben poco.

Dopodiché mercoledì una delle più importanti figure dell’associazionismo giudiziario, il togato di Area Giuseppe Cascini, ha dichiarato al plenum di Palazzo dei Marescialli che, tra le «criticità più rilevanti» contenute nel maxiemendamento Cartabia alla riforma del Csm, spicca «l’estensione dell’illecito disciplinare» a «tutte le ipotesi di violazione delle disposizioni in materia di rapporti con la stampa introdotte dalla riforma del 2021 in tema di presunzione d’innocenza».

Secondo il consigliere, con la puntualizzazione disegnata dalla ministra si finirebbe col sindacare «scelte di natura discrezionale che dovrebbero essere riservate al procuratore della Repubblica». Le nuove norme d’altra parte ribadiscono che non esiste (non esisteva neppure prima) il diritto di danneggiare l’immagine di un presunto innocente. Non è che il procuratore può discrezionalmente decidere di distruggere la reputazione di un indagato, se vuole. Non può farlo. E se c’è un divieto, è giusto che ci sia una sanzione. Altrimenti che divieto è?

Ma Cascini, interpellato dal Dubbio, obietta una genericità dell’ipotesi disciplinare «che può compromettere qualsiasi tipo di comunicazione fra ufficio inquirente e stampa. E il motivo mi pare semplice: con la novità proposta dal maxiemendamento al ddl sul Csm, diventa sindacabile qualsiasi scelta compiuta dal procuratore nel quadro delle previsioni sulla presunzione d’innocenza. Può essere astrattamente perseguibile», spiega il consigliere, «la scelta di riferire ai media su una determinata indagine attraverso una conferenza stampa anziché un comunicato. Il titolare dell’azione disciplinare potrebbe mettere in discussione la sussistenza della rilevanza, oppure dell’interesse pubblico, delle specifiche esigenze investigative che, secondo le norme del 2021, consentono al capo dell’ufficio inquirente di optare per una delle residue opzioni comunicative previste. E in ogni caso, io non condivido affatto l’idea che una correttezza dell’informazione giudiziaria possa ottenersi con la messa sotto chiave delle notizie, anche quando non vi siano più esigenze investigative per farlo».

Cascini è un magistrato di grande valore ed esperienza: è stato ai vertici dell’Anm, prima di essere eletto a Palazzo dei Marescialli, ed è considerato un intransigente nella difesa dei colleghi, in particolare degli inquirenti, categoria a cui appartiene. Ha un punto di vista che lui stesso riconosce essere «radicale», in questo campo. Ma al di là delle legittime convinzioni di Cascini, la sensazione è che una parte della magistratura resti insofferente all’esistenza stessa della disciplina sulla presunzione d’innocenza. E che in fondo si voglia conservare lo status quo, cioè l’irrilevanza di provvedimenti, come quelli del 2006, pure codificati come leggi dello Stato. Mercoledì sera il ministero della Giustizia ha ricordato che «già c’erano divieti e sanzioni per il pm che facesse dichiarazioni senza un’autorizzazione del procuratore».

E neppure la magistratura è un monolite: un’altra figura di straordinaria autorevolezza del mondo togato, Armando Spataro, aveva lasciato nei giorni scorsi a disposizione della Camera una relazione in cui, dell’ulteriore stretta disciplinare sulla presunzione d’innocenza, dà valutazioni assai diverse: si tratta, aveva scritto, e detto in commissione Giustizia, di «modifiche certamente condivisibili». In particolare, «l’ipotesi di illecito relativo alla divulgazione di informazioni alla stampa si inquadra nell’altrettanto condivisibile scelta operata con il recente provvedimento in tema di presunzione di innocenza».