Alta tensione ad Hong Kong, una grandissima manifestazione di circa un milione di persone, ha percorso le vie dell’ex protettorato britannico domenica scorsa, una protesta all’inizio pacifica ma finita poi con barricate e lanci di molotov. La gente è scesa in strada contro una proposta di legge, appoggiata anche dal locale governo guidato dalla premier Carrie Lan, che consentirebbe alla Cina di estradare chi è accusato di alcuni crimini.

Le ragioni dell’opposizione sono diverse: innanzitutto quelle relative ai diritti umani, il sistema giudiziario cinese non brilla certo per un alto grado di garanzie per gli imputati, poi c’è il fronte che riguarda il particolare status di Hong Kong. La città- isola infatti, dopo 156 anni, nel 1997 è passata dal controllo britannico a quello della Cina. Pechino però ha sempre affermato di voler perseguire la politica di “un paese, due sistemi”. Anche sottostando al regime comunista Hong Kong avrebbe mantenuto il sistema economico capitalistico e la forma di democrazia liberale.

Con il passare degli anni però sono emersi tutti i contrasti tra chi vede nella Cina l’ambito di una naturale appartenenza e chi invece persegue una maggiore autonomia. Differenze che sono lampanti proprio per quanto riguarda l’amministrazione della giustizia. Ad Hong Kong la pena di morte è stata abolita nel 1993 mentre nella Cina continentale è attualmente in vigore e applicata con continuità anche se è difficilissimo avere dati a riguardo.

La paura di una perdita di indipendenza e di non poter più esercitare libertà di parola è molto forte ad Hong Kong. Si teme che la minaccia dell’estradizione imponga una cappa repressiva e che confermi alcune notizie che, in questi anni, riportavano i casi di alcuni rapimenti che sarebbero stati portati a termine dalle autorità cinesi.

Secondo Carrie Lan però la nuova legge sarebbe necessaria per armonizzare i due sistemi giuridici ed evitare contraddizioni pericolose. La premier di Hong Kong ha anche detto che le nuove regole avrebbero dei contrappesi tali da impedire la persecuzione di oppositori politici o religiosi. Inoltre secondo le dichiarazioni ufficiali l’estradizione riguarderebbe solo accusati che rischiano pene superiori ai sette anni.

Esiste però un ultimo aspetto che lascia aperta più di qualche preoccupazione. Poco tempo fa, Han Zheng, membro dell’Ufficio politico del Partito Comunista Cinese, si espresso in maniera molto favorevole nei riguardi della legge sull’estradizione, tra i motivi c’è la volontà di perseguire cittadini stranieri che hanno commesso reati giudicati contro la sicurezza nazionale cinese. Una materia spinosa che solleverebbe più di qualche controversia internazionale.

Ma probabilmente il vero obiettivo è quello di riuscire ad estradare ricchi uomini di affari e funzionari di Pechino fuggiti per sottrarsi all’arresto in patria.