"Credo che Donald mi abbia appena criticato per essermi preparata in vista del dibattito, e sapete unacosa, l'ho fatto e credo che sia una buona cosa. Sapete cos'altro ho fatto? Mi sono preparata per essere presidente e credo che sia una buona cosa". Così Hillary ha risposto nel corso del primo confronto indiretta ieri sera all'attacco di Trump, che ha rinfacciato alla candidata democratica di essersi tenuta in disparte dalla campagna negli ultimi giorni. E la sua preparazione le è valsa la vittoria nel primo confronto televisivo, andato in onda nella notta e seguito da 100 milioni di telespettatori.Secondo un sondaggio condotto dalla Cnn dopo il faccia a faccia, infatti, il 62% degli interpellati ha detto che a fare meglio nel dibattito è stata la candidata democratica, mentre solo il 27% ritiene che a vincere sia stato il candidato repubblicano.GLI ALTRI CONFRONTI CHE HANNO FATTO LA STORIALa mattina del 26 settembre 1960, John Fitzgerard Kennedy era ancora uno sconosciuto senatore del Massachussetts. La sera, il suo sorriso smagliante sul viso abbronzato aveva conquistato i 70 milioni di telespettatori sintonizzati sulla rete CBS, per seguire il primo dibattito della storia americana tra candidati alla casa Bianca. Di fronte a lui, un pallidissimo Richard Nixon sudava sotto i riflettori dello studio televisivo, infagottato in un completo grigio chiaro che lo faceva confondere con lo sfondo e rendeva il suo viso ancora più terreo. Il dibattito veniva trasmesso in contemporanea anche alla radio e secondo gli ascoltatori il vecchio leone repubblicano fu più convincente rispetto al giovane irlandese. I telespettatori, invece, non ebbero dubbi. Di quella notte che consacrò la stella di J. F. K., nessuno ricorda gli argomenti del dibattito, ma Kennedy stesso ammise che fu la televisione a regalargli, di lì a qualche mese, la presidenza degli Stati Uniti.Da allora, il primo dibattito televisivo tra candidati presidenti è diventato uno degli appuntamenti fissi del palinsesto, ogni quattro anni: seguito quasi quanto il Superbowl e - a guardar bene - governato dalle stesse regole: uno spettacolo muscolare con un solo vincitore.Se a Kennedy bastò il sorriso per vincere, nel 1976 fu una frase a decretare la sconfitta del repubblicano Gerald Ford: «There is no Soviet domination of Eastern Europe», non c'è alcun dominio sovietico nell'Europa dell'Est. Ford aveva giurato come presidente nel 1974, dopo le dimissioni di Nixon in seguito allo scandalo Watergate, ed era il candidato favorito alle elezioni di due anni dopo, ma la gaffe sulla situazione in Europa consegnò la vittoria all'allora sconosciuto governatore della Georgia, Jimmy Carter. La frase, infatti, rimbalzò sui quotidiani e divenne il tormentone della campagna elettorale, aprendo una breccia nella credibilità di Ford in politica estera che i democratici furono abili a sfruttare.Con il passare degli anni, i politici iniziano ad imparare le regole e il lessico dell'infotainment: per vincere davanti alla telecamera non bastavano più solo i contenuti, ma serviva soprattutto carisma dialettico. E chi meglio di un ex attore era in grado di sfruttare a proprio vantaggio i tempi televisivi? «Non utilizzerò l'età come un tema di questa campagna elettorale: non sfrutterò per fini politici la giovinezza e l'inesperienza del mio rivale»: con questa battuta Ronald Reagan ribaltò le sorti del dibattito pubblico del 1984. Il conduttore gli aveva chiesto se a 73 anni non fosse troppo vecchio per diventare presidente, lui diede prova di quello che divenne la sua cifra comunicativa: il senso dell'umorismo. I telespettatori gli assegnarono la vittoria tv e poi anche quella alle urne contro il candidato democratico Walter Mondale, nonostante Reagan avesse ripetutamente evitato di rispondere alle domande del conduttore sui temi più sostanziali della sua campagna elettorale.Immagine, lessico, presenza scenica. La telecamera non perdona e quest'ultimo elemento costò la Casa Bianca nel 2000 al democratico Al Gore, inaspettatamente sconfitto dalla mediocre oratoria di George W. Bush per colpa di un linguaggio del corpo troppo aggressivo. Ad indisporre i telespettatori - calati a 40 milioni dopo anni di confronti poco scoppiettanti - furono i continui sospiri spazientiti di Gore durante le risposte di Bush, ma soprattutto l'infausta decisione del democrat di lasciare il podio e di avvicinarsi quasi minacciosamente all'avversario durante una risposta. «I candidati possono muoversi solo entro l'area designata», stabiliranno gli organizzatori del dibattito, in vista della diretta di quattro anni dopo.Sono serviti quasi cinquant'anni perchè l'America ritrovasse un candidato all'altezza di Kennedy per telegenia e capacità oratoria, e quel candidato è stato Barack Obama. Il suo confronto televisivo con John McCain non ha avuto storia sin dalla prima inquadratura: giovane, sorridente, atletico e frizzante, nel 2008 il democratico ha surclassato il rivale in tutti e tre i dibattiti, consacrandosi come la star politica del nuovo millennio e il candidato imbattibile per appeal nel piccolo schermo.Proprio il fascino di Obama ha riacceso l'interesse per il dibattito televisivo: dopo un quindicennio di bassi ascolti, le dirette dei suoi confronti, prima con McCain e poi con Romney, hanno fatto registrare picchi da 60 milioni di spettatori e riportato all'attenzione del pubblico il confronto diretto botta e risposta tra candidati. Un'eredità pesante, che ha caricato di aspettativa il primo faccia a faccia tra Hilary Clinton e Donald Trump: una sorta di mezzogiorno di fuoco, in scena nelle case di tutta l'America, all'ora di cena. Tutti in attesa della gaffe di The Donald, tutti col fiato sospeso ad aspettare il mancamento di Hillary. Anticipato dai media statunitensi come l'evento più importante prima del voto di novembre e trasmesso questa notte dalle tv di mezzo mondo, è uno scontro vecchio stile che - nel Secolo del web e dei Social Media - avrà lo stesso peso elettorale del mitico Kennedy-Nixon. Una nuova età dell'oro del tubo catodico, che si riappropria del primato comunicativo almeno per una sera.