Eitan Biran ha «legami più forti e si sente più a suo agio con la sua famiglia italiana e l’ambiente circostante di quanto non ne abbia con la sua famiglia israeliana e l’ambiente circostante». È quanto ha riscontrato il tribunale della Famiglia di Tel Aviv, che ha deciso per il rientro in Italia del piccolo Eitan, unico sopravvissuto alla strage del Mottarone. La Corte di Tel Aviv ha disposto che il bambino, finito al centro di un complicato caso internazionale, resti affidato alla zia paterna Aya Biran, nel suo «ambiente di vita abituale» in Italia, in attesa di qualsiasi diversa sentenza dei tribunali italiani. Secondo quando si legge nella sentenza, infatti, i «diritti concessi alla zia nel contesto della sua nomina» a tutrice «sono sufficienti per considerarla titolare del diritto di affidamento ai fini della Convenzione dell’Aja». La Corte inoltre ha affermato che il nonno materno, Shmuel Peleg, ha violato la Convenzione dell’Aia prelevando illegalmente Eitan dall’abitazione della zia Aya Biran l’11 settembre scorso e trasferendo il bambino in Israele. Secondo quanto riferisce il quotidiano israeliano, tecnicamente, Peleg può ancora chiedere l’affidamento ai tribunali italiani, ma le sue possibilità sono scarse dopo la sentenza del tribunale israeliano. Dopo l’udienza del 23 settembre, il tribunale aveva disposto l’affidamento congiunto di Eitan Biran tra la zia italo-israeliana e il nonno israeliano, in attesa del processo sulla vicenda che si è svolto l’8 ottobre. Le autorità italiane avevano precedentemente assegnato la custodia di Eitan a sua zia Aya. Oltre ad aver disposto il rientro in Italia di Eitan, la Corte ha indicato come di fondamentale importanza «concentrarsi sulle condizioni mediche ed emotive» del piccolo e «dargli il sostegno, le cure e l’abbraccio di cui ha bisogno a causa della tragedia che ha colpito lui e la sua famiglia». I giudici inoltre ritengono che sia ancora possibile ricomporre «la frattura familiare» che si è creata dopo la tragedia, proprio per il bene del bambino a cui si dovrebbe far sentire la «connessione» tra i due nuclei familiari. «Siamo contente della decisione e che i principi e lo spirito della Convenzione dell’Aja abbiano trovato conferma da parte dei giudici di Israele», commentano le legali Cristina Pagni e Grazia Cesaro, che tutelano gli interessi della zia paterna. Pagni ha appreso la notizia dalla sua assistita, che le ha descritto un «momento di gioia» per la decisione del tribunale che permetterà al nipote di rientrare in provincia di Pavia. Anche la zia ha espresso soddisfazione per «l’applicazione della Convenzione dell’Aja in maniera corretta». «Non ci sono né vincitori né vinti, c’è solo Eitan. Tutto quello che vogliamo per lui è che ritorni presto nella sua casa, ai suoi amici a scuola, alla sua famiglia e specialmente alle sue cure terapeutiche di cui ha così tanto bisogno», è il commento degli altri due avvocati di Aya Biram, Shmuel Moran e Avi Chimi. «Non sappiamo ancora i tempi perché ci sono degli aspetti tecnici» da considerare, ha spiegato l’avvocato Pagni, poiché «potrebbe esserci una sospensiva». Quindi «i tempi sono ancora in fase di definizione con le autorità locali», ha dichiarato. «Potrebbe esserci una impugnazione» da parte del nonno materno Shmuel Peleg, prosegue il legale, e quindi «potrebbero esserci degli allungamenti» nei tempi del ritorno del bambino in Italia. «Ci sono una serie di questioni tecniche e operative che sono in fase di definizione con le autorità locali», ha aggiunto Pagni, dicendo che «aspettiamo i dettagli della decisione di una lunga sentenza che andrà tradotta». Intanto la famiglia Peleg ha annunciato che farà ricorso: «Il tribunale della Famiglia si è occupato esclusivamente dell’arrivo di Eitan in Israele e non delle questioni riguardanti il suo benessere e il suo futuro», ha sottolineato la famiglia, che si è detta «determinata a continuare a lottare per i migliori interessi di Eitan».