LA NORMA ANTI- OPPOSIZIONE IGNORA L’EMERGENZA CORONAVIRUS

Quando la furia repressiva si ritorce contro coloro che hanno voluto restringere spazi di libertà.

Un paradosso drammatico che si adatta bene alla situazione di Hong Kong. Ieri infatti la Corte Suprema ha stabilito che la decisione del governo cittadino nell’ottobre dello scorso anno, di appellarsi ad una legge risalente all’epoca coloniale, riguardo il divieto di indossare maschere come successo nelle manifestazioni del 2019, è costituzionale.

Sono andate così deluse le speranze dell’opposizione democratica che aveva riposto nel giudizio finale della Corte la possibilità di generalizzare un pronunciamento di un tribunale di grado inferiore in modo da annullare la proibizione. In realtà l’ordine governativo aveva avuto effetti concreti come nel caso di Joshua Wong, l’attivista 24enne arrestato proprio per la violazione della legge anti maschera e la sua partecipazione a manifestazioni anti- governative nel 2019.

Hong Kong è stata sconvolta da sette mesi di grandi e talvolta violente proteste a favore della democrazia contro la crescente influenza della Cina.

Durante quelle manifestazioni, molti indossavano maschere per nascondere la propria identità, a soprattutto per proteggersi dai gas lacrimogeni. Da allora il movimento è stato praticamente eliminato da arresti di massa, con una nuova durissima legge sulla sicurezza nazionale varata a giugno e altri divieti di raduni pubblici giustificati dal misure anti coronavirus.

Tra queste naturalmente anche l’obbligo di indossare mascherine all’aperto. In sostanza proprio quello che invece le autorità vorrebbero impedire contraddicendo se stesse.

Le conseguenze della sentenza dell’Alta Corte dunque non sono ancora chiare. A meno che nei programmi ci sia in fligrana il divieto di manifestazione pubblica in ogni sua forma, un passo che il governo locale fino qui non ha mai compiuto.

Un pericolo in agguato anche perché la decisione dei giudici costituzionali ha confermato che la governatrice filo cinese di Hong Kong, Carrie Lam, ha il potere di emanare qualsiasi legge considerata di pubblica emergenza senza bisogno dell'approvazione del parlamento eletto.

Per coloro che avevano promosso il ricorso alla Corte, il provvedimento sulle maschere violava la Legge Fondamentale, e cioè la mini Costituzione che governa l’enclave. Una posizione rigettata dalla sentenza che dichiara: «È chiaramente proporzionato che il regolamento sul divieto di copertura dei propri lineamenti cerchi di vietare l'uso di coperture per il viso - utilizzate per nascondere l'identità dei trasgressori e con un effetto incoraggiante che porta alla degenerazione delle proteste pacifiche in violenza - sia in un’assemblea non autorizzata, una riunione pubblica o un corteo pubblico».

Per l’avvocato Antony Dapiran, un giurista che ha scritto diversi libri sul movimento di protesta che da oltre un anno scuote la politica di Hong Kong, le conclusioni dei giudici potrebbero rivelarsi quantomeno controverse se non sospette di acquiescenza al potere cinese.

Per il legale infatti «la cosa più sorprendente è la misura in cui la sentenza della Corte di appello finale privilegia una narrativa di violenza e illegalità rispetto a qualsiasi altra, e senza il contesto più ampio in cui si sono verificati quegli incidenti, nel giungere alla loro conclusione».