Il primo fu Cristiano Ronaldo, poi l’altro Ballon d’or Karim Benzema, seguito da Koulibaly, Kanté, Firmino, Brozovic, in attesa che arrivino Milinkovic-Savic e Paul Pogba e chissà quanti altri ancora.

Una fitta colata di petrodollari sta cambiando a velocità iperboliche il calcio mondiale, luminoso oggetto del desiderio del principe Bin Salman deciso a trasformare l’Arabia Saudita nella nuova mecca del pallone. A differenza del vicino e mai troppo digerito Qatar sbarcato nel Vecchio continente con lo stratosferico acquisto del Paris Saint Germain o delle cordate e fondi d’investimento americani proprietari di diverse società, Bin Salman non vuole portare Maometto alla montagna, ma la montagna da Maometto.

L’idea è semplice, soprattutto se hai i mezzi per realizzarla: fare della “sua” Saudi pro league uno dei campionati più competitivi se non il più competitivo dell’intero pianeta. Non più un torneo esotico riservato a ex calciatori e vecchie glorie del passato in cerca di nuovi zeri da aggiungere al conto in banca come fin qui è stato il calcio nella penisola arabica, in Cina e in misura minore nel soccer della Major league statunitense che oggi ospita Lionel Messi.

Questi campionati erano e sono in larga misura il crepuscolo malinconico di campioni bolsi, trattati da sceicchi, una disneyland posticcia senza alcuna tradizione dove andavi a rimpinguare il conto in banca e a smarrire un po’ di dignità sportiva, corricchiando svogliatamente contro avversari improbabili.

Basta dare un’occhiata alle notizie di calciomercato delle ultime settimane per capire che tutto ciò sta cambiando molto in fretta: oggi alla corte dei sauditi accorrono campioni ancora nel fiore degli anni e che sarebbero senza dubbio titolari nei top club europei; se inizialmente il pellegrinaggio dei fuoriclasse poteva sembrare una stranezza adesso pare una tendenza ineluttabile. D’altra parte le cifre monstre offerte dai sauditi non possono avere rivali nemmeno nella ricchissima e fortissima Premier league inglese. Prendiamo il centrocampista francese Pogba, al quale sono stati offerti 150 milioni di euro netti per tre stagioni, cinque volte l’attuale stipendio che percepisce dalla Juventus. Per il laziale Milinkovic-Savic, che guadagna circa tre milioni l’offerta è di trenta milioni l’anno, dieci volte tanto.

Come resistere alle sirene del Golfo quando ti ricoprono letteralmente d’oro? Un’ambizione quella di Bin Salman da completare in pochi anni e da finanziare con i fondi illimitati di cui dispone la monarchia wahaabita. Esiste anche un progetto complementare per finanziare una nuova Superlega africana per creare un torneo satellite in un mercato tutto da conquistare dal quale attingere introiti e canniballizare i tanti talenti che provengono dai paesi dell’Africa. Nel mirino ci sono anche i Mondiali del 2030 a cui si è candidato come paese organizzatore (anche se secondo la stampa spagnola alla fine rinuncerà) e l’Expo universale dello stesso anno che vorrebbe ospitare proprio a Ryad.

Il calcio sarà d’altra parte uno degli asset di Vision 2030, il ciclopico piano di sviluppo industriale ed economico per preparare il Paese all’era post-petrolio affiancato da altrettante riforme sociali e di costume per allentare la morsa del fondamentalismo religioso nella vita pubblica, specie per quel che concerne i diritti delle donne.

Oggi in Arabia saudita esiste una lega calcistica femminile e le donne possono assistere a diversi eventi sportivi, mentre la separazione dagli uomini nei luoghi pubblici è molto meno rigida rispetto a qualche anno fa. Un fenomeno accelerato anche dalla demografia del regno con la sua straripante maggioranza di giovani (il 60% dei residenti ha meno di trent’anni). Si tratta anche di un efficace foot washing per ripulire, attraverso la promozione del gioco più popolare del mondo e il suo formidabile indotto in termini pubblicitari e di prestigio globale l’inquietante bilancio in materia di diritti umani. L’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel 2018 dagli agenti segreti del principe all’interno dell’ambasciata saudita di Istanbul è ancora negli occhi, di molti mentre i metodi con cui viene schiacciato il dissenso politico sono quelli di una dittatura in piena regola.

Se è vero che con l’avvento di Bin Salman sono stati accordati diversi diritti civili e che la società appare un po’ secolarizzata, la repressione degli oppositori al regime rimane fortissima: secondo il più recente rapporto di Amnesty International negli ultimi tre anni il numero di esecuzioni capitali per reati politici e di opinione è aumentata di sette volte, tra le vittime diverse persone che erano minorenni al momento della condanna.