«È stata la cultura dell’emergenza, la rabbia che sicuramente in quegli anni richiedeva una risposta immediata, che ha dato luogo al grande inganno di via d’Amelio, una storia di menzogne che hanno dato luogo a innocenti condannati all’ergastolo tramite falsi pentiti costruiti a tavolino tramite torture e processi caratterizzati da gravissime anomalie».

È Fiammetta Borsellino, figlia più piccola dell’ex giudice stritolato dal tritolo a via D’Amelio, a parlare durante il secondo incontro intitolato “Paure e gabbie. Perché la giustizia non subisca le infiltrazioni della vendetta”, nell’ambito del Secondo Festival della comunicazione sulle pene e sul carcere a Milano. Una vera e propria spina nel fianco del coro granitico di una certa antimafia, la figlia di Borsellino, la quale – come ha detto Ornella Favero, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia, nel presentarla – «è una fra le poche persone che ha avuto il coraggio di non entrare nel coro sui temi dell'antimafia e di avere un pensiero complesso che ha messo in discussione tutto, anche il ruolo di alcuni magistrati ed esponenti delle forze dell’ordine».

Si è affrontata la questione scottante dell’ergastolo ostativo e della recente senza della Consulta che ha dichiarato incostituzionale quella parte del 4 bis che subordina la concessione o meno del permesso premio alla collaborazione. «Io penso che, da giudici, mio padre e Giovanni Falcone non avrebbero liquidato così come viene fatto in questi giorni la questione se sia giusto o sbagliato eliminare o mantenere il carcere ostativo, perché loro ci hanno insegnato che questi problemi sono dei problemi complessi, che non possono essere semplificati in questo modo», ha risposto Fiammetta.

«Sicuramente io non sono una esperta in questo settore – ha continuato la figlia di Borsellino -, ma penso che bisogna lasciare aperte delle maglie perché le situazioni vanno valutate caso per caso.

Non bisogna confondere dei provvedimenti che sono stati pensati ventisette anni fa sull'onda di una gravissima emergenza, bisogna anche pensare a quello che è il contesto attuale. Sicuramente bisogna diffidare delle semplificazioni».

Fiammetta Borsellino ha sottolineato che si tratta di «un problema molto complesso, che va letto in relazione all'attuale disastrosa condizione delle carceri italiane. Bisogna evitare le semplificazioni come ' la mafia ha perso' o ' la mafia ha vinto' o anche ' la mia antimafia è migliore della tua', perché fanno male. Io sono convinta che il problema invece andasse affrontato e che la modalità con cui si sta affrontando sia esattamente quelle giusta, quella che va incontro a quell'altissimo senso di umanità che poi è stato il valore che ha guidato tutta la vita di mio padre».

Parole lucide, di alto spessore e soprattutto umane che ha creato commozione tra i presenti, soprattutto i detenuti come Pasquale Zagari e l’ergastolano Roberto Cannavò con dietro una storia di mafia, di morte e poi di rinascita.

Ornella Favero ha poi chiesto a Fiammetta se è vero che la sentenza della Consulta abbia ucciso una seconda volta il padre. «A uccidere mio padre per la seconda volta sono stati i depistaggi: è stato il tradimento di alcuni uomini delle Istituzioni che oggi tra l'altro, proprio per aver dato prova di altissima incapacità investigativa, hanno fatto delle carriere senza che tra l'altro, e questo lo voglio sottolineare, il Csm si sia mai assunto una responsabilità circa l'avvio di procedimenti disciplinari diretti ad accertare quello che è stato fatto e perché è stato fatto», ha risposto Fiammetta Borsellino. Ma, alla sollecitazione posta dal professore Davide Galliani, ha anche aggiunto che parlare in nome delle vittime della mafia è sbagliato, perché ognuno ha la propria identità, pensieri e vissuti.