L'articolo di Umberto Eco, che pubblichiamo qui accanto, è uscito nel marzo del 2001 sull’Unità. Eco proponeva di fare un giornale non gridato, non di bandiera, non “balcanizzato”. Proponeva il metodo dell’informazione oggettiva e del dialogo. E chiedeva un po’ più di attenzione ai problemi e ai diritti della gente e un po’ meno alle lotte furiose tra potenti.Nessuno gli diede retta. I giornali italiani si “balcanizzarono” sempre di più. Riunirono tutte le proprie forze per combattere o per difendere Berlusconi. Alzarono le loro grida - mentre Eco chiedeva di parlare sottovoce - e racimolarono una quantità crescente di fango da gettare sul nemico, mentre Eco chiedeva ragionamento e pacatezza.Questo nuovo giornale che nasce oggi - Il Dubbio - ha una aspirazione: quella di fare ciò che Umberto Eco chiedeva inutilmente 15 anni fa.Le domande principali che mi sono sentito fare in questi giorni sono quattro. Prima: c’era bisogno di un nuovo giornale quotidiano? Seconda: quale sarà la linea politica di questo giornale. Terza: è sensato che l’avvocatura italiana decida di diventare “editore”? Quarta: Il Dubbio sarà un giornale contro la magistratura?Alla prima domanda rispondo molto semplicemente: sì. C’è un bisogno assoluto di un giornale che ponga il diritto e i diritti al di sopra di tutto. Perché questo giornale, oggi, non esiste. Il sistema informazione - adeguandosi al sistema politico e allo spirito pubblico “vincente” - tende a credere che lo Stato di diritto sia “roba del secolo scorso”. Che non serva alla modernità. O addirittura che sia un ostacolo alla modernità. L’idea che prevale e dilaga è che la modernità sia mercato senza regole, efficienza e giustizia severa e sbrigativa. L’etica pubblica, oggi, è etica del profitto o etica della punizione. Spesso profitto (efficienza economica) e bisogno di punizione si mescolano in un unico imperativo morale.Noi invece siamo convinti che l’unica etica pubblica possibile sia l’etica del diritto. Che è il contrario del pensiero dominante.Viviamo in un epoca di certezze. Nella quale il dialogo e la ricerca sono demonizzati. E’ demonizzato il dubbio. Siamo partiti da qui, discutendo tra noi giornalisti e il gruppo di avvocati che oggi guida il Consiglio nazionale forense, e ci siamo convinti che esiste la necessità e lo spazio per costruire una nuova iniziativa editoriale. Il nome del giornale - Il Dubbio - lo ha proposto Andrea Mascherin, che è il presidente del Cnf. E intorno a questo nome, e a ciò che evoca, abbiamo costruito il progetto.E così ho risposto anche alla domanda sulla linea politica del giornale. Ammenoché per linea politica non si intenda “schieramento” partitico. Beh, quello non ci sarà. Non staremo né col governo né con l’opposizione. Il Dubbio lancerà una sfida al giornalismo italiano: proverà ad essere oggettivo. A non schierarsi con un partito o con l’altro. A non fare il tifo. Vogliamo semplicemente informare, dare le notizie con tutti i dettagli, mettere il lettore in condizione di giudicare. Dopodiché apriamo il dibattito a tutti. E proponiamo il dialogo. Anche creando polemiche, se serve polemiche aspre, ma con garbo, con buona educazione, respingendo ogni tentazione di demolire gli avversari e di gettare su di loro la spazzatura.La terza domanda ha una risposta facile facile. L’avvocatura decide di diventare editore perché oggi, in Italia, gli editori non sono mai “produttori” di idee ma di merce. Non ci sono editori puri: ci sono costruttori di case, di macchine, di scarpe, finanzieri, commercianti, petrolieri. Sono loro i padroni dei giornali. Ognuno entra in editoria per difendere i propri interessi. Editori puri, zero. Gli avvocati non hanno interessi economici da difendere. Sono l’editore più puro che esista nel panorama nazionale.Infine la domanda sulla magistratura. No, non saremo contro la magistratura e speriamo di avere molti magistrati tra i nostri collaboratori. Saremo contro la mala giustizia e contro chiunque - avvocato, magistrato, politico - consideri la giustizia non come realizzazione del diritto e ricerca dell verità, ma come strumento della lotta politica, o come affermazione “sacra” del volere di Dio. Saremmo contro quelli che credono che il magistrato buono è quello che condanna e che il magistrato che assolve è venduto. Lotteremo per riformare la giustizia italiana ma solo con l’arma dell’informazione e del sapere. Non con l’idea che per contrastare le idee di un avversario occorra demolirlo e umiliarlo.Proveremo a fare quello che ci ha chiesto Eco 15 anni fa. Con buone speranze di riuscirci.