Alta tensione tra la Cina e la Gran Bretagna, la ragione ancora una volta riguarda Hong Kong, ex protettorato britannico, e in particolare otto attivisti (Nathan Law, Anna Kwok, Ted Hui, Dennis Kwok, Mung Siu-tat, Elmer Yuen, Finn Law e Kevin Yam) fuggiti dall'isola nel 2020 quando Pechino ha imposto la draconiana legge sulla sicurezza nazionale. Una serie di norme iper-restrittive che di fatto perseguono penalmente chiunque esprima critiche o protesti contro le autorità controllate dai cinesi.
Sugli attivisti pro democrazia è stata posta una taglia pari a un milione di dollari di Hong Kong, una cifra talmente alta tale da far gola a chiunque sia intenzionato a trarre profitto dalla eventuale cattura e che mette a rischio la vita di coloro che sono in esilio.
Secondo la Cina, la Gran Bretagna ospitando i fuggitivi compie un atto di ingerenza negli affari interni di Hong Kong, Pechino li accusa di collusione con forze straniere, un crimine che può comportare una condanna all'ergastolo proprio in virtù della legislazione introdotta tre anni fa dopo le grandi proteste che hanno scosso l isola.
Il governatore di Hong Kong, John Lee, non ha lasciato molte speranze che si possa arrivare ad una trattativa. Per Lee infatti gli esuli saranno perseguiti a vita. Li ha dunque esortati a consegnarsi, aggiungendo che altrimenti avrebbero trascorso le loro giornate nella paura.
Se non bastassero le dichiarazioni minacciose di Lee, ci ha pensato un portavoce dell'ambasciata cinese a Londra a rincarare la dose accusando direttamente i politici britannici e parlando di interferenze grossolane e intollerabili.
Londra ha respinto gli attacchi riaffermando di voler proteggere coloro che hanno lottato per la libertà di espressione. Il ministro degli Esteri James Cleverly ha dichiarato:«Chiediamo a Pechino di rimuovere la legge sulla sicurezza nazionale e alle autorità di Hong Kong di porre fine ai loro attacchi contro coloro che si battono per la libertà e la democrazia».
In realtà gli otto nel mirino cinese vivono non solo nel Regno Unito, alcuni si trovano negli Stati Uniti e in Australia, paesi che non hanno comunque trattati di estradizione con la Cina. Una situazione dunque che corre il rischio di allagare lo spettro della crisi in estremo oriente.
Lo testimonia l'intervento del ministro degli Esteri australiano Penny Wong che si è detta «profondamente delusa» dall'annuncio cinese e che «rimane profondamente preoccupata per la continua erosione dei diritti, delle libertà e dell'autonomia di Hong Kong».
Una risposta a stretto giro di posta è arrivata anche dal Dipartimento di Stato degli Usa secondo il quale la mossa stabilisce «un pericoloso precedente che minaccia i diritti umani e le libertà fondamentali delle persone in tutto il mondo».
Il timore dunque si sta spargendo tra gli attivisti fuggiti, due dei piu rappresentativi come Nathan Law e Anna Kwok, direttrice esecutiva del Consiglio per la democrazia di Hong Kong, hanno già lanciato l'allarme affermando che d'ora in poi saranno molto cauti nel rivelare dove si trovano attualmente. «Tutte queste cose – ha detto Law – possono mettere la mia vita in situazioni pericolose se non sono abbastanza attento a chi incontro o dove vado. Mi fa vivere una vita più attenta». Concetto ribadito dalla sua compagna di lotta la quale non ha nascosto lo shock iniziale quando ha appreso della taglia: «Questo è esattamente il genere di cose che il governo di Hong Kong e il Partito comunista cinese fanno, intimidire le persone, mettendole a tacere».