Un agguato dalle modalità tipicamente mafiose, un colpo alla testa e uno al collo, che non gli hanno lasciato scampo. È finita così, alle 22.30 di martedì, la vita di Francesco Pagliuso, noto penalista di Lamezia Terme, freddato nel cortile di casa mentre stava scendendo dalla sua auto. Un delitto ripreso dalle telecamere di sorveglianza, installate da poco tempo, che hanno immortalato un uomo uscire da un cespuglio, avvicinarsi alla sua auto e sparare non più di tre colpi in direzione dell'avvocato, morto sul colpo. Il killer si è introdotto nella proprietà di Pagliuso praticando un foro sulla recinzione che circonda il casale restaurato in via Marconi, dove viveva da solo da poco tempo, dopo essersi trasferito a Lamezia Terme dal suo paese di nascita, Soveria Mannelli. Chi ha sparato, probabilmente, conosceva le sue abitudini e sapeva come colpire. Le modalità fanno pensare ad un killer professionista, capace di compiere una vera e propria esecuzione. E forse sapeva anche che l'avvocato girava armato di 44 Magnum, arma che, però, martedì non è riuscito a tirare fuori in tempo. Pagliuso, 43 anni, una carriera brillante, segretario della Camera penale, aveva difeso molti imputati dei più importanti processi di 'ndrangheta della provincia di Catanzaro e non solo, da "Andromeda" passando per "Black Money" e "Perseo". A giugno era riuscito a far annullare con rinvio dalla Cassazione l'ergastolo per Domenico e Giovanni Mezzatesta, condannati per un duplice omicidio immortalato dalle telecamere di un bar, e aveva difeso in passato Ida D'Ippolito, ex senatrice di Forza Italia.Separato, padre di un bambino di sei anni, Pagliuso aveva recentemente aperto un ristorante, particolare che porta gli inquirenti ad indagare anche al di là della vita da legale. Le indagini, ha dichiarato il procuratore Luigi Maffia, titolare del caso assieme al sostituto Marta Agostini, procedono a 360 gradi. «Non escludiamo nulla - ha sottolineato Maffia -, non si può restringere il campo a una sola ipotesi». Potrebbe, dunque, trattarsi di una vendetta legata alla sua attività professionale, ma nemmeno la pista personale può dirsi esclusa al momento. Le indagini si stanno sviluppando attorno alle immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza, che riprendono la Volkswagen di Pagliuso e il suo killer al momento dell'agguato. Una sagoma non riconoscibile, quella dell'assassino, armato di revolver e appostato nel buio, in attesa della sua preda. A contattare i carabinieri è stata la compagna dell'avvocato, con la quale la vittima aveva un appuntamento: allertata dalle molte telefonate a vuoto e da ore di silenzi, ha composto il 112 chiedendo aiuto all'Arma. I militari lo hanno trovato riverso sul sedile di guida, col suo cane a fianco, attorno alle 3.30. Lo sportello ancora aperto, il finestrino del lato passeggero frantumato dai colpi di pistola. E attorno il silenzio. Carabinieri e scientifica hanno lavorato tutta la notte, abbandonando la scena del crimine solo alle 8, quando l'auto è stata portata via. L'autopsia è attesa per oggi.L'efferato omicidio fa ripiombare la città nel terrore: si tratta del secondo avvocato vittima di agguato. Era già successo alle 23 del primo marzo 2002, quando l'auto di Torquato Ciriaco venne affiancata da quella dei killer sulla strada che da Lamezia porta a Maida. L'avvocato venne ferito da diversi colpi di arma da fuoco e finito con due colpi alla testa. Per quell'omicidio, che secondo alcuni pentiti fu ordinato dalla cosca Anello di Filadelfia (VV), è ancora in corso il processo che vede imputati il boss Tommaso Anello, il pentito Francesco Michienzi, le cui parole hanno fatto partire le indagini, e Santo Panzarella, scomparso nel luglio 2002. L'ipotesi è che alla base dell'omicidio ci fosse il suo interessamento all'acquisto dei beni di una grossa azienda edile fallita, in concorrenza con gli interessi degli Anello.«Nella vita non bisogna fare l'avvocato, ma essere un avvocato», aveva dichiarato Francesco Pagliuso in un'intervista al Lametino lo scorso anno, citando le parole di Fulvio Croce, presidente dell'ordine degli avvocati di Torino «che venne ucciso dalle Brigate Rosse per aver fatto fino in fondo il suo dovere professionale», aveva ricordato. Una tragica coincidenza, un destino comune avvolto nel mistero.