Mentre il nostro Governo approva il disegno di riforma fiscale, con sindacati e opposizione sul piede di guerra, in Francia si consuma un altro scontro. Quello sulla riforma del sistema pensionistico. È la democrazia, bellezza! Verrebbe da dire. E quanto più le riforme sono importanti, tanto più incandescente diventa lo scontro politico e sociale. Anzi, è proprio su queste decisioni che si mostra la qualità di una democrazia. Il problema è semplice: in una democrazia rappresentativa nessuno assicura che le “singole” scelte dei governi siano condivise dalla maggioranza dei cittadini. La democrazia rappresentativa esiste, tra l’altro per consentire ai governi di assumere anche scelte impopolari, confidando che esse si dimostreranno comunque nell’interesse del paese. Astrattamente è un principio condiviso da tutti. Come dimostra la ricorrente affermazione che il governo non deve inseguire gli umori del paese, ma essere capace di guardare lontano assumendosene la responsabilità di fronte agli elettori. È anche chiaro, però, che il dissenso nel paese, magari rilevato attraverso sondaggi quotidiani, pone una questione politica e costituzionale. Fino a che punto meccanismi istituzionali che garantiscano la forza del governo di imporre il proprio indirizzo può essere tollerata? Dov’è il confine che trasforma la politica decisionistica in autoritarismo e minaccia per la democrazia? A questa domanda le Costituzioni danno risposte diverse. Al netto della polemica politica, però, né la Costituzione italiana né quella francese possono essere tacciate di “autoritarismo”. Ciò non toglie che gli strumenti e le prassi a disposizione siano diversi. Volendo semplificare la principale differenza tra l’Italia e la Francia è che, in Italia, di fronte a una forte opposizione il governo deve dimostrare che le proprie scelte siano sostenute da una maggioranza parlamentare. Se vuole imporre la propria politica ha, tra i vari strumenti, quello della questione di fiducia. Con essa, l’Esecutivo in sostanza dice: “questa è la mia proposta se il Parlamento non l’approva me ne vado a casa”. In Francia il meccanismo è ribaltato. Con l’ormai noto art. 49.3 il governo dice: “impegno la mia responsabilità su questa legge. Se non mi sfiduciate a maggioranza assoluta, la legge passa senza che sia necessario votarla”. Non si tratta di sfumature, perché, nel caso francese, anche un governo senza la maggioranza può ottenerne l’obiettivo per il solo fatto che le opposizioni non sono disposte a unirsi “contro”. E questo è ciò che verosimilmente consentirà al Governo Borne di raggiungere il risultato. Malgrado i tentativi di accordo trasversale delle opposizioni, infatti, è molto improbabile che vi possa essere una convergenza tra la sinistra e la destra, ivi compreso il Front National di Marine Le Pen. È una soluzione autoritaria? Mortifica il Parlamento? Dipende da come interpretiamo il concetto di democrazia in una società complessa e frammentata come quella contemporanea. E soprattutto in due paesi i cui governi sono di coalizione. Il modello italiano si fonda sul principio espresso che dev’esserci una maggioranza a favore delle misure, ma anche su quello, implicito, che ogni minoranza della coalizione ha un potere di veto su tutti gli altri. Se un partner dice no, anche se rappresenta una minoranza degli elettori, la misura non passa. Il modello francese si basa sull’idea che un singolo membro della coalizione o addirittura una sua corrente non possono bloccare la scelta che tutti gli altri vogliono compiere. Questa scelta può essere bloccata solo da una chiara maggioranza contraria. In altre parole, in Francia, si riconosce il diritto di governare alla minoranza più grande finché questa non venga arrestata da una compatta maggioranza opposta. Per noi italiani, imbevuti di tradizioneiperparlamentaristica, un’affermazione del genere può sembrare blasfema. Come si fa a consentire di governare a qualcuno che non rappresenta la maggioranza del paese e del parlamento? Eppure, guardandosi in giro per il mondo, scopriamo che la maggior parte delle grandi democrazie funzionano sulla base di quel principio. Grazie a meccanismi costituzionali o alle leggi elettorali, governano le minoranze più grandi: in assenza di alternative, hanno diritto di farlo perché il Paese ha comunque bisogno di risposte. Le elezioni, quando arriveranno, emetteranno la sentenza. E’ successo a Blair, alla Merkel e oggi alla Borne, peraltro sostenuta da un Presidente che la maggioranza alle elezioni l’ha avuta. Nessuno sa come finirà, anche perché Macron ha annunciato elezioni in caso di sconfitta del governo, ma parlarne da noi può essere utile per sprovincializzare il dibattito sulla democrazia e per chiarirci le idee sulle riforme che vorremmo e non facciamo mai.