Che fine ha fatto il Piano carceri, quello che, varato nel gennaio 2009 dal Consiglio dei ministri, avrebbe dovuto risolvere l’emergenza delle carceri italiane, diventata sempre meno sopportabile sia per detenuti che per tutta la comunità penitenziaria? All’allora capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Franco Ionta, furono dati poteri straordinari per accelerare la costruzione di nuovi istituti di pena, addirittura “eco- compatibili e ad emissioni zero”. Ma a distanza di sette anni nulla è stato realizzato e la situazione è sempre più drammatica: dal carcere di Enna a quello delle Vallette a Torino, passando perTrani e per il minorile Beccaria di Milano. Le criticità sono quasi sempre le stesse: bagni a vista, muffa sulle pareti, infiltrazioni di acqua piovana nelle celle e nelle stanze degli agenti di sorveglianza, ambienti freddi e fatiscenti. Carenze igieniche e strutturali che offendono ' la dignità e la privacy dei detenuti ristretti' e costringono ' i poliziotti penitenziari a lavorare in ambienti squallidi', dichiara Federico Pilagatti, segretario regionale del Sappe ( Sindacato autonomo di polizia peniten- ziaria). Dopo aver dedicato un tavolo di lavoro all’architettura del carcere durante gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale, il ministro della Giustizia Andrea Orlando è tornato a parlare di Piano carceri nella sua relazione per l’anno 2016: ' Il nuovo modello penitenziario orientato al rispetto dei principi della Costituzione [...] richiede anche interventi di adeguamento delle strutture penitenziarie. Il tema dello spazio vivibile viene, così, a declinarsi secondo un valore qualitativo, funzionale al processo di risocializzazione. In questo campo, le linee d’azione dovranno, pertanto, essere orientate ad incrementare non solo le dimensioni, ma la qualità degli spazi destinati al movimento, alle iniziative culturali e trattamentali ed alla socialità [..] Pertanto, gli interventi di edilizia penitenziaria dovranno essere coerentemente orientati al processo di umanizzazione della pena '.

È davvero arrivato il momento di concretizzare quanto messo solo su carta? Lo chiediamo all’architetto Domenico Alessandro De’ Rossi, già consulente del Dap, esperto di edilizia penitenziaria e curatore del libro da poco uscito ' Non solo carcere. Norme, storia e architettura dei modelli penitenziari', Mursia Editore.

I propositi del ministro Orlando sono giusti, perché se si vuole davvero realizzare un Piano carceri bisogna fare prima un grande sforzo culturale. E lo devono fare coloro che progettano e amministrano, non dimenticando mai quali sono lo scopo della pena e la finalità della detenzione: risocializzare il detenuto, dargli un lavoro, farlo seguire da esperti. Purtroppo in Italia lo sforzo massimo che riusciamo a fare per gli istituti di pena è quello di ritinteggiare le pareti. Per non parlare di tutte le idee di modifica che vengono bloccate dall’eccessiva burocrazia. Servono professionisti veramente esperti e che abbiano un curriculum effettivo per poter trattare questa delicata materia.

Quale sarebbe per Lei una soluzione?

Il patrimonio di cui dispone lo Stato italiano per le carceri è tutto obsoleto; quindi inizialmente andrebbe istituita una commissione che si occupi della dismissione delle carceri ospitate da manufatti storici, che andrebbero destinati ad altra funzione. Penso, ad esempio, a quello di San Vittore a Milano, all’Ucciardone di Palermo, a quello napoletano di Poggioreale, al Regina Coeli di Roma.

Quindi costruire nuovi istituti di pena?

Sì, in prossimità dei tribunali e in posizione strategica, vicina ai nodi di scambio trasportistici: il carcere è una città nella città, deve essere una realtà che dialoga con la città.

L’aiuto dei privati sarebbe utile?

Un rapporto con i privati, se gestito bene e con trasparenza, non è detto che debba essere una cosa negativa. L’onere del controllo e della correttezza debbono spettare allo Stato.

E con quale filosofia realizzare un carcere modello?

Bisogna entrare nella logica di una ristrutturazione comportamentale, utilizzando una tipologia di edilizia differenziata in base al comportamento del detenuto, accompagnandolo nella penitenza attraverso un percorso che mano mano gli dia più libertà, a seconda del suo livello di rieducazione. Riuscendo a trasmettere più fiducia a chi lo ha preso in carico, potrà essere trasferito in celle diverse, più confortevoli rispetto a quelle più dure dove è stato recluso ad esempio per essersi macchiato di un grave reato, fino ad arrivare addirittura in quelle senza sbarre, passando per le stanze dell’affettività. È necessario capire inoltre che non si può mettere nello stesso ambiente un terrorista o un omicida con uno che ha fatto assegni a vuoti, perché devono essere trattati in maniera diversa.