L'Ecuador ha vissuto una giornata di terrore e violenza con attacchi simultanei di gruppi armati in centri commerciali, uffici e persino in una stazione televisiva durante una trasmissione in diretta a Guayaquil. La seconda città del Paese è stata l'epicentro dell'offensiva da parte di commando legati alla criminalità organizzata che le autorità non hanno esitato a definire "terroristi". Almeno dieci i morti, tra cui tre agenti di polizia, circa 70 le persone arrestate.

L'Ecuador si trova così immerso nel caos, prigioniero di una sorta di guerra interna che segue di pochi mesi l'elezione a presidente di Daniel Noboa al termine di una campagna elettorale segnata dall'uccisione di diversi candidati, tra cui Fernando Villavicencio. Noboa, ha denunciato l'esistenza di un "conflitto armato interno" nel Paese e ha ordinato alle Forze Armate di considerare i gruppi paramilitari e le gang legate ai narcos come "obiettivo militare". Disordini si sono verificati in sei carceri e altri atti di violenza sono stati registrati a Quito e in diverse città.

Noboa aveva dichiarato lo stato di emergenza e il coprifuoco per sessanta giorni in seguito all'evasione domenica scorsa di Adolfo Macias, detto "Fito", leader della banda criminale Los Choneros, e allo scoppio di disordini in sei centri penitenziari del Paese. Ogni gruppo terroristico è un obiettivo militare, ha avvertito il capo del Comando congiunto delle Forze Armate dell'Ecuador, Jaime Vela, in un messaggio diffuso martedì notte, riferendosi ai ventidue gruppi criminali organizzati transnazionali menzionati dal presidente Noboa nella dichiarazione di conflitto armato interno. L'avvertimento dell'alto comando militare che il Paese "non si ritirerà di fronte al terrorismo" è stato lanciato al termine di un Consiglio di Sicurezza convocato d'urgenza dal presidente, con la partecipazione dei tre poteri dello Stato e delle Forze Armate e di Sicurezza.

L'azione più eclatante dei 'narcoterroristi' è stato l'assalto di un commando di tredici individui armati di fucili, granate ed esplosivi, negli studi di TC Television, canale pubblico di Guayaquil, durante un notiziario in diretta. Gli aggressori hanno minacciato i giornalisti e hanno chiesto loro di chiedere al presidente Noboa di non inviare la polizia. La crisi è stata risolta quando le teste di cuoio sono entrate nella struttura, hanno arrestato i criminali e rilasciato gli ostaggi. L'operazione di salvataggio si è conclusa senza vittime, ma ciò non ha impedito che il panico si diffondesse nelle strade, nelle scuole e nelle attività commerciali della città, dove otto persone sono rimaste uccise e altre due ferite quando uomini incappucciati hanno sparato contro passanti e veicoli e in un negozio di ricambi. Persino gli ospedali sono stati attaccati.

La polizia ha dovuto compiere oltre seicento interventi, ma nonostante l'ondata di violenze Noboa, insediatosi lo scorso novembre, non appare in pubblico da lunedì sera. Sui social è stato diffuso un video con la dichiarazione dello stato di emergenza e del coprifuoco. Noboa, ha ordinato misure straordinarie di sicurezza e protezione per gli alti funzionari che compongono il Gabinetto di Sicurezza Strategica, nonché ai loro coniugi e figli residenti nel Paese. Tra i membri del Gabinetto di Sicurezza figurano i ministri dell'Interno, della Difesa e le massime autorità del Centro di intelligence strategica.

Il governo degli Stati Uniti ha fatto sapere di seguire "da vicino" le notizie di "violenze, rapimenti in Ecuador" ed pronto "a fornire assistenza", ha detto un portavoce del Dipartimento di Stato americano. Pechino ha annunciato che l'ambasciata cinese e tutti i suoi consolati in Ecuador sospenderanno i servizi al pubblico. "La riapertura al pubblico sarà annunciata a tempo debito", ha fatto sapere la missione diplomatica in una nota in spagnolo su WeChat. Numerosi governi americani, organizzazioni internazionali come la Commissione interamericana dei diritti umani (IACHR) e la Comunità andina, nonché organizzazioni non governative come Human Rights Watch (HRW), hanno condannato l'ondata di violenza e alcuni di loro, come la Colombia, si è addirittura offerto di sostenere le autorità di Quito inviando, se necessario, truppe armate.

L'ondata di violenza ha suscitato paura in Perù e ha portato il governo a dichiarare lo stato di emergenza e a ordinare il dispiegamento dell'esercito in tutto il confine settentrionale. Il presidente di Panama, Laurentino Cortizo, ha espresso "solidarieta'" a Noboa, e si è rammaricato "per gli eventi che compromettono la stabilità e lo stato di diritto in questo Paese fratello". L'Argentina ha espresso il suo "fermo sostegno" alle autorità e al popolo dell'Ecuador e si è offerta di inviare "forze di sicurezza, se necessario, per aiutare l'Ecuador perché si tratta di una questione continentale". Il ministro della Sicurezza, Patricia Bullrich, si è offerta di inviare forze di sicurezza e si è rammaricata che l'Ecuador "sia passato da un paese tranquillo con un basso tasso di omicidi a un paese invaso dal narcoterrorismo".

Il presidente della Bolivia, Luis Arce, ha ripudiato "gli atti di violenza" avvenuti in Ecuador ed ha espresso la sua "disponibilità a sostenere il ritorno della tranquillità nelle strade". Arce ha ritenuto "urgente" lavorare sulla "regionalizzazione della lotta contro il traffico di droga e altri atti illeciti" e sulla creazione dell'Alleanza Latinoamericana Antinarcotici (ALA). Il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, ha respinto martedì "con forza la violenza scatenata dalle bande criminali ecuadoriane che mettono a rischio la sicurezza e la pace della Repubblica nostra sorella". Il Governo del Cile ha espresso "il suo più energico rifiuto della violenza prodotta da gruppi legati alla criminalità organizzata" e ha auspicato che questa situazione venga "risolta nel quadro dello stato di diritto e delle istituzioni attuali in Ecuador, nel pieno rispetto "della democrazia e dei diritti umani".