Che nel governo non siano presenti solo due forze politiche, quante ne conta la maggioranza, ma tre era chiaro sin dall’inizio: ci sono la Lega e M5S, ma c’è anche la delegazione “mattarelliana”, quella che, anche se mai nessuno lo ammetterebbe, risponde al Colle e ai poteri istituzionali prima e più che ai partiti. E’ una delegazione limitata nel numero dei dicasteri, non nel peso politico. Comprende il ministro degli Esteri Moavero, quello dell’Economia Tria ma anche, in misura più ambigua e alterna, il capo del governo, Giuseppe Conte. Le fibrillazioni all’interno del governo dipendono molto più dalla tensione tra il blocco gialloverde e questa componente “istituzionale” che non da quelle tra gialli e verdi.

Ma soprattutto è a quelle tensioni che guardano i mercati e dalle quali dipende la vera minaccia che pende sul governo: un cannoneggiamento a colpi di spread simile a quello che nel 2011 affondò il governo Berlusconi. Quando, una settimana fa, il differenziale s’impennò sino a 270 punti seminando il panico, l’origine della tempesta andava proprio ricercata nella voce, o anche solo nel timore, che il ministro dell’Economia rassegnasse la dimissioni dopo l’annuncio di Salvini sull’immediato avvio, già in questa legge di bilancio della riforma fiscale, e di conseguenza anche del reddito di cittadinanza. A rassicurare i mercati facendo scendere lo spread fu il fatto che, alcune ore dopo, a ripetere più o meno le stesse cose dette da Salvini arrivò Tria, sgombrando così il campo dal fantasma delle dimissioni. E’ però opportuno ricordare che di voci del genere, riferite ora allo stesso Tria, ora all’altro punto di riferimento economico del governo, cioè al ministro per le Politiche comunitarie Savona, ne sono corse negli ultimi tre mesi parecchie. Tenendo conto che la vera partita economica non è ancora iniziata, se ne parlerà so- lo a settembre, il dato è decisamente poco rassicurante.

Mercoledì tra la Lega e Moavero sono volati stracci, dopo che il ministro, ricordando la tragedia di Marcinelle, aveva ricordato che gli italiani sono stati a lungo migranti in altri Paesi. Una semplice verità di fatto che nella quale il Carroccio ha riscontrato gli estremi dell’ “offesa agli italiani”. Ma anche, chiaramente, una via individuata dal ministro degli Esteri per prendere platealmente le distanze dalle politiche del suo governo sull’immigrazione. Alcuni giorni fa le cronache riportavano un confronto teso tra Salvini e Conte sul nodo della presidenza del cda Rai, con il premier impegnato a premere sul suo vice e ministro degli Interni per sbloccare una situazione paralizzata proprio dall’insistenza del leader leghista su Foa, nonostante la bocciatura del medesimo da parte della Vigilanza e il parere dei costituzionalisti che negano ogni possibilità di lasciare Foa comunque in carica, di fatto se non di nome, nelle vesti di consigliere anziano. Quanto a Tria, con una finanziaria da oltre 22 mld già sul tavolo e l’insistenza dei partiti per mettere comunque in cantiere reddito di cittadinanza, Flat Tax e persino il rimaneggiamento della Fornero, fasi di attrito sono inevitabili e molto più lo saranno nel prossimo futuro.

Se questo governo cadrà, dunque, sarà probabilmente per l’incompatibilità tra i partiti e la delegazione istituzionale, non per le risse tra partiti. Solo che la situazione è molto meno lineare di quanto non appaia. Tria, per esempio, si è senza dubbio posizionato immediatamente come punto di riferimento dell’ala istituzionale, ma senza alcuna intenzione di rompere con la maggioranza politica, tanto più che all’atto pratico trova quasi sempre una sponda in Giancarlo Giorgetti, il pragmatico sottosegretario alla presidenza del consiglio e numero due della Lega. Ma soprattutto Tria concorda in pieno con Paolo Savona sul piano di investimenti straordinari che è la vera chiave, tenuta non a caso in sordina, della strategia economica del governo.

Il progetto è più che ambizioso, tanto da essere paragonato addirittura al Piano Masrhall. Comporta investimenti monstre di 50 mld ogni anno, adoperando come copertura il surplus commerciale, cioè il sopravanzo delle esportazioni sulle importazioni. La scommessa è sull’effetto moltiplicatore degli investimenti stessi sul Pil, sull’occupazione e quindi sul gettito fiscale. Sarebbe una mezza rivoluzione a livello non solo italiano ma anche europeo perché ammettere una strategia del genere vorrebbe dire, per l’Europa, vincolare gli investimenti concessi non più al capestro dei saldi della finanza pubblica ma al surplus delle partite correnti.

E’ vero che l’effetto moltiplicatore si vedrebbe solo a partire dall’anno prossimo ma è evidente che se un progetto tanto ambizioso superasse l’ostacolo dei veti europei Tria non avrebbe alcun interesse a entrare in rotta di collisione proprio prima di imbarcarsi in una simile avventura. Il problema però è che per quest’anno le coperture vanno trovate senza contare su quell’effetto moltiplicatore. Tria ha proposto di subìre almeno parzialmente l’aumento dell’IVA e di intervenire sui bonus fiscali, inclusi gli 80 euro di Renzi. Salvini e Di Maio non ne hanno voluto nemmeno sentir parlare: le ragioni del bilancio e quelle della politica in questo caso, come in parecchi altri, confliggono. Così il rischio che una frattura che nessuno in realtà vuole si produca lo stesso in autunno resta tutto.