«Mi è dispiaciuto molto per questa umiliazione. Con questi dittatori, chiamiamoli per quello che sono di cui però si ha bisogno, uno deve essere franco nell'esprimere la propria diversità di vedute e di visioni della società; e deve essere anche pronto a cooperare». Era il 9 aprile di un anno fa quando il presidente del consiglio Mario Draghi si esprimeva così facendo infuriare, con tanto di convocazione dell'ambasciatore italiano in Turchia, il dominus incontrastato Recep Erdogan. Le parole del premier arrivarono all'indomani di quello che nelle cronache giornalistiche è passato come sofàgate. Quando durante un incontro ufficiale alla presidente della commissione europea venne negata una poltrona accanto al presidente turco e a quello del Consiglio europeo, Charles Michel. Uno sgarbo non solo istituzionale che non passa inosservato nelle cancellerie del Vecchio Continente. Fu quello il momento più basso delle relazioni italo turche ma gli eventi mondiali e l'ammissione di Draghi stesso sulla necessità di collaborare con utili dittatori hanno messo in primo piano, come sempre, la realpolitik. Così si spiega il viaggio del premier di ieri ad Ankara proprio per incontrare Erdogan e dare vita ad un vertice bilaterale che non si svolgeva dal 2012. È stata una missione ad alto livello, con i ministri Di Maio, Guerini, Giorgetti e Cingolani impegnati in altri summit bilaterali con al centro dossier importanti. Le delegazioni infatti hanno discusso del conflitto ucraino, della crisi alimentare in riferimento alle navi bloccate nei porti e cariche di grano, fino all'emergenza energetica e ai migranti. Un rilancio della cooperazione con la Turchia a tutto campo testimoniato dalla firma di alcuni protocolli d'intesa relativi agli affari esteri, alla difesa e di natura economica come il sostegno alle micro, piccole e medie imprese e allo sviluppo sostenibile. I primi segnali di riavvicinamento si erano già visti lo scorso ottobre a Roma in occasione di un incontro che a palazzo Chigi definirono «Uno scambio costruttivo», niente oltre ad una simbolica stretta di mano ma si seminò per il futuro. E' stata l'invasione russa dell'Ucraina ad accelerare la distensione, le priorità ora sono diverse e dunque in occasione del vertice Nato di marzo ecco che l'Italia si trova a fianco di una Turchia che si e ritagliata un ruolo di mediatore oltre a far parte dell'Alleanza atlantica. Draghi, pochi giorni fa, interpellato dalla stampa sull'accordo che ha rimosso il veto di Ankara e ha permesso di far entrare Svezia e Finlandia nella Nato in cambio di un abbandono sostanziale dei curdi, ha glissato rispondendo che bisognava chiedere ai due paesi baltici. La guerra ha messo al centro il problema degli approvvigionamenti di energia con la necessità europea di affrancarsi dagli idrocarburi russi. L'Italia dunque ha cominciato a rivolgersi ad altri mercati compresa la Turchia già importante partner. Attualmente il gasdotto Tanap (Trans-Anatolian Pipeline) può collegarsi con la Tap ed e la terza rotta di approvvigionamento di gas per lItalia dopo i flussi dallAlgeria e dalla Russia. Si è anche discusso di immigrazione, lo scorso anno i migranti considerati irregolari e partiti dalla Turchia sono triplicati. Un problema da affrontare in maniera coordinata e che si lega a doppio filo con il processo di stabilizzazione in Libia dove Ankara sta giocando ormai da tempo un ruolo preponderante. La presenza italiana è storica ma è stata soppiantata dal protagonismo turco che vanta un influenza notevole sui gruppi armati che condizionano il paese nordafricano.