Il giorno X doveva essere oggi. È slittato di 48 ore: la legge di bilancio sarà varata giovedì. Forse con un capitolo in sospeso e non proprio secondario, le misure fiscali, cioè il cuore della manovra stessa. L'accordo tra i partiti non si trova ma quello è il problema minore: per Draghi l'importante è che la linea, con pochissime concessioni come al solito, sia quella dettata da lui. L'accordo va trovato con lui e alle sue condizioni.

Le beghe tra i partiti, i tradizionali “assalti alla diligenza” in questo caso sono colore. Forse, ma solo forse, le nuove norme sulle pensioni saranno varate con una sorta di forzato consenso generale ma anche questo non è affatto detto. La mediazione con la Lega passerebbe per un formula che porta sì quota 100 a quota 102 e poi 104, però alzando gli anni di contributi necessari e lasciando invece l'età pensionabile fissa al livello di quota 102, cioè 64 anni. Ma è una formula che non accontenta i sindacati e che la stessa Lega accetterà solo obtorto collo e non potendo fare altro.

La legge di bilancio non sarà solo la prima varata dal governo Draghi, dunque comunque politicamente indicativa. Sarà anche la prima legge compiutamente politica varata dal governo dopo la riforma della giustizia, capitolo che peraltro rientrava solo perifericamente nella lista stretta degli obiettivi per il premier più qualificanti. Per il resto il grosso delle misure sono state la campagna vaccinale, che ha implicato decisioni politiche anche importanti e difficili come il Green Pass obbligatorio ma prive di valenza strategica, oppure i primi passi del Pnrr. Lì però siamo ancora distanti da decisioni tali da qualificare l'orizzonte politico del governo, essendo quei primi passi strettamente vincolati dalle condizioni poste dall'Europa per erogare i fondi del Pnrr. Non è esagerato dunque affermare che solo con questa legge di bilancio inizia a profilarsi un orizzonte propriamente politico nell'azione di governo. Ed è dunque inevitabile che solo ora prendano corpo tensioni sia politiche che sociali.

Sulla mission del governo Draghi, però, sarebbe opportuno sgombrare il campo da una certa dose di ambiguità. Ufficialmente il compito del governo è quello di portare a termine la campagna vaccinale e impostare nonché incardinare il Pnrr, che dovrebbe servire a sostenere i singoli Paesi nell'uscire indenni dalla crisi Covid. Draghi però non nasconde di avere mire più ampie e ambiziose, e del resto lo ha dimostrato chiedendo, unico tra tutti i capi di governo della Ue, l'intero fondo europeo a disposizione, inclusa la massiccia quota in prestito. Si tratta di uscire non solo dalla crisi Covid ma da una lunghissima stagnazione che prosegue da almeno trent'anni.

Dunque è ingannevole parlare di una missione emergenziale di Draghi, quale sarebbe se si trattasse davvero solo di portare il Paese in salvo dalla crisi Covid in entrambe le sue facce, sanitaria ed economica. Se il suo traguardo è lasciarsi alle spalle una lunghissima fase storica, il premier non può che perseguire un orizzonte politico vasto e quasi complessivo. La legge che sta per essere varata, la finanziaria, è il primo passo che indica chiaramente quella direzione. La misura più sofferta, per una parte della maggioranza, è la soppressione di quota 100, segue, ma distanziata di molte lunghezze, la revisione del Reddito di cittadinanza che però, quanto a copertura è stato non solo completamente rifinanziato ma adeguato alla platea nel frattempo ampliatasi.

Nella conferenza stampa al termine dell'ultimo Consiglio europeo, parlando appunto delle pensioni, Draghi ha usato un termine eloquente. Pur evitando traumi e quindi «scaloni», ha detto, «si tornerà alla normalità». La riforma Fornero è la normalità di un’Europa che non ha perso di vista l'obiettivo del rientro dal debito. Draghi intende soprassedere e puntare invece su ulteriore debito, ma solo se a fini «produttivi», non di spesa pubblica. Del resto la Fornero era stata dettata dalla lettera- memorandum dell'estate 2011, firmata proprio da Draghi in veste di futuro presidente della Bce oltre che dal suo predecessore Trichet. La normalità di Draghi è un reddito inteso come ammortizzatore necessario, data la consapevolezza che le riconversioni ecologica e digitale creeranno seri problemi in termini d'occupazione. Ma nulla più di questo. Nulla che somiglia al Reddito universale al quale, pur confusamente, punta Grillo.

Il problema politico è tutto qui: in un governo che mira alla “normalità”, intesa qui come condizione da raggiungere e non da ripristinare, ma che ha al proprio interno aree vaste sia della Lega e che dei 5S che trovano la loro ragione di esistere proprio nel negare e contrastare quella “normalità”. Ancora per un po', grazie all'emergenza Covid, la contraddizione non esploderà. Ma solo per un po'.