La morte si aggira per l’Europa. Per le strade d’occidente. Questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera, insonne, sorda. Ha bisogno di un niente per ghermire e falciare le sue vite, un esplosivo fatto in casa come quello lasciato in un pentola alla maratona di Boston, un’arma qualunque come quelle usate al Bataclan – quante armi ci hanno lasciato queste guerre –, un coltellaccio come nelle intifada in Israele, un tir lanciato tra la folla come a Nizza, una preghiera suicida come ovunque. Non abbisogna di squadroni, la Morte, di armate delle tenebre inquadrate a schiere; chiunque può essere posseduto, fino ieri l’altro un uomo qualunque, che d’improvviso sente la chiamata per dar un senso alla propria fine, cercando la gloria del martirio.Le nostre vite stanno cambiando checché ne dicano i nostri governanti – They will don’t change our way of life, disse la regina Elisabetta dopo le bombe di Londra; Nous ne céderons pas au terrorisme en suspendant notre mode de vie, disse Hollande dopo il Bataclan. Invece cambiano, eccome.Rinunciamo a libertà di movimento in nome di maggiore sicurezza, non andiamo più in vacanza sereni, guardiamo in tralice e allarmati ogni pacco ogni valigia ogni uomo; ogni volta che prendiamo la metro ogni volta che saliamo su un autobus ogni volta che ci raduniamo nella folla. Ogni volta che torniamo a casa. Conosciamo anche noi il terrore, conosciamo, anche noi, il dolore. Raccontiamo ai nostri bambini favole orribili, l’uomo nero – the boogeyman – ha i colori e i vestiti e i capelli di chi si incontra per strada. È questo, soprattutto, che va cambiando: il nostro discorso, il nostro racconto del mondo. E se cambia questo, tutto cambia.La peste nera del terrorismo fondamentalista non può fermarsi – adotteremo misure di igiene, lavarsi spesso le mani, seppellire i morti lontano, bruciare i loro vestiti; controllare gli ingressi ai nostri confini più severamente, spiarci l’uno con l’altro, diffidare di ogni cosa. Inutili saranno le nostre processioni – la fede non ha mai fermato nulla, semmai è servita solo a conquistare; inutili le nostre razionali e scientifiche misure. Inutile il nostro cercare un riparo lontano da tutto – separarsi dal mondo; inutile ogni vendetta, ogni rancore. Saremo sommersi dal dolore e dal lutto.È questo che ci tocca, il dolore e il lutto. Come dovesse, questa umanità, pagare un conto salato al Male, alla Storia, a Satana, qualunque sia la forma assunta – ce ne siamo distratti convinti che il progresso potesse estirparlo, oppure abbiamo scatenato l’inferno.Eppure, lacrime dolore e sangue ci potrebbero fare più forti. Ogni volta, nel lutto, sento più fratello il vicino – francese spagnolo inglese. Ogni volta, nel dolore, sento d’essere europeo – sento quanto sia vanitoso questo accapigliarsi di confini e nazioni, di bandiere e denari, e quanto sia radicato in me, a volte contro me stesso, l’amore per l’Europa. Per la libertà, per la democrazia, per la tolleranza, per il conflitto. Anche se a cantare la canzone d’Europa oggi non si intonerebbe l’Inno alla Gioia di Beethoven ma una Messa di Requiem.Il nemico è crudele. Il nemico è sempre crudele. Per vincere bisogna essere crudeli. Non pensare alle vite. Lives No Matter. Crudeli furono gli algerini per conquistare l’indipendenza, mandavano donne a farsi esplodere nei bistrot d’Orano. Crudeli furono i vietnamiti per conquistare la libertà, mandavano donne a farsi esplodere nei bar dove soldati americani festeggiavano un qualche bombardamento al napalm. Noi stessi lo siamo stati, nel tempo. Noi stessi lo siamo, ancora oggi. Ma essere crudeli serve a poco e nulla contro la peste nera. Se arriveranno i bravi e i briganti a garantirci la protezione, saremo perduti.La peste muore da sola. Imperversa sulle nostre città, sulle nostre strade, sulle nostre case, poi muore. Muore perché se continuasse a mietere vite all’ammasso non avrebbe più posto nel mondo, il Male. Muore acquattandosi, sembrando ritrarsi nel nulla da cui è venuto. Per tornare, dopo, un giorno. La peste morirà. Questa non è l’apocalisse. Non ci servono profeti; ci saranno parole di sventura, parole di colpa, parole di sferza. Ma le loro lingue sono biforcute, e i loro piedi sono caprini, e i loro corpi puzzano di zolfo lontano un miglio.Dobbiamo solo resistere. Piangere e accompagnare i nostri morti. Non stanno cadendo invano. La morte è sempre senza senso, sempre. È la dannazione che ci accompagna nel mondo. Chi cade, cade per noi, per quelli che rimangono. Perché quelli che rimangono – noi, oggi, chiunque sia, domani – continuino a essere se stessi. Siano migliori. Dobbiamo provare a essere migliori. Essere noi stessi, essere uomini d’Europa, d’occidente.Cadiamo, oggi, perché siamo uomini liberi, perché siamo uomini tolleranti, perché amiamo le democrazie e il conflitto. Per questo cadiamo. Certo, potremmo essere diversi, uomini al rovescio – violenti, totalitari, guerreschi. Sceglierci un Califfo, incoronarlo, consacrarlo. Saremmo come il Male – uguale a lui, sarebbe il suo trionfo. Sarebbe la fine del mondo, del mondo che abbiamo costruito combattendo più volte, nei secoli dei secoli, il Male.È questa la speranza. Nel dolore, nell’assurdità di ogni cosa, possiamo capire questo: a ogni uomo è data oggi una incredibile potenza. La usiamo per distruggere. Chiunque può falciare vite a decine – è il modo delle nostre città, della nostra civiltà, quello di essere esposti incredibilmente alla Morte. Non è un prezzo necessario, questo orrendo obolo, non è un costo obbligato.Quale straordinario mondo potremmo avere se questa potenza che ognuno – anche il più infimo, il più stupido, il più reietto, il più negletto degli uomini – ha tra le mani, venisse curvata verso gli altri, per essere migliori, più liberi.L’altro giorno, ai funerali dei poliziotti uccisi da un cecchino a Dallas, il presidente Obama ha ricordato quanto è scritto nella Lettera ai Romani [5: 3-10]: «We also glory in our sufferings, because we know that suffering produces perseverance; perseverance, character; and character, hope / Anche nelle sofferenze noi sentiamo la gloria, perché sappiamo che la tribolazione produce perseveranza; e la perseveranza, costanza; e la costanza, speranza».Ci fosse una Costituzione d’Europa, dovremmo iniziarla così. Noi speriamo.