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Giustizialisti, certo. Ma diversi. Movimento cinquestelle e Lega sono considerati affini anche rispetto a temi come il processo penale, la sicurezza o le norme sul carcere. A ben guardare, si tratta di posizioni parallele: i grillini hanno idee assai più restrittive per tutti gli istituti che si riverberano in modo particolare sul contrasto alla corruzione, per esempio sulla prescrizione dei reati e l’uso delle intercettazioni; il partito di Salvini è più severo negli slogan e nei programmi per il contrasto alla microcriminalità e ai reati comuni, con inevitabili riflessi su questioni come i benefici per i detenuti e la legittima difesa.
Ma alla fine l’impeto giustizialista dei cinquestelle come si tradurrebbe in programma sulla giustizia? In parte ha risposto, in alcune dichiarazioni pubbliche e in un’intervista al Mattino, il guardasigilli designato, Alfonso Bonafede. Altri punti sono stati definiti con un referendum on line dell’estate scorsa. In generale l’obiettivo è uno, sempre lo stesso: lotta dura ai corrotti. È il mantra. Il resto viene di conseguenza o è subordinato. Vediamo dunque le posizioni sui punti più caldi. La riforma Orlando sul carcere non va bene. Ammesso che Gentiloni, con un estremo atto di coraggio, riuscisse a portarla in salvo prima del 23 marzo, i pentastellati la sopprimerebbero nella culla: innanzitutto con il ripristino delle preclusioni tuttora previste dall’articolo 4 bis per l’accesso ai benefici. La soluzione al sovraffollamento? Costruire nuove carceri, ristrutturare le sezioni in disuso. A sorpresa, uno dei pochi altri nodi della giustizia in cui Di Maio sarebbe d’accordo con Salvini riguarda l’attività politica dei magistrati: anche i cinquestelle ritengono che chi lascia la toga per lo scranno parlamentare debba farlo in modo irreversibile. Dopo il mandato elettivo, si può solo rientrare in altri ranghi della pubblica amministrazione.
Le strade si divaricano a cominciare proprio dalla magistratura, in particolare dalla separazione delle carriere. Il Movimento di grillo è contrario, il che non vuol dire aderire a tutte le richieste dell’Anm ( che a gennaio declinò, con cortesia, un invito dei grillini a un brainstorming comune).
Se ci si inoltra negli snodi chiave del processo penale, si verifica la particolare vicinanza tra il M5s e le teorie di Piercamillo Davigo. A cominciare dall’introduzione della reformatio in peius, cioè della possibilità che, in appello, un imputato vada incontro a una condanna più severa di quella inflittagli in primo grado anche quando è lui a proporre ricorso.
Altro punto forte del programma grillino è la modifica delle recenti norme sulla prescrizione: l’estinzione del reato non potrebbe più intervenire già dal momento del rinvio a giudizio, con il rischio che le successive fasi del procedimento abbiano durata indefinita.
Cambierebbe un’altra disciplina fortemente voluta da Orlando, quella sulle intercettazioni, il cui uso verrebbe reso sempre possibile quando si procede per reati contro la pubblica amministrazione. I trojan horse, cioè i virius spia, potrebbero essere usati nel domicilio dell’indagato anche se non si ha fondato motivo di ritenere che vi si stia per consumare un’attività delittuosa. La selezione delle conversazioni rilevanti sarebbe sottratta al filtro della polizia giudiziaria.
Forte consonanza sul rito abbreviato, in particolare sull’assoluta esclusione dell’istituto per reati come stupro e omicidio, in modo che chi viene condannato all’ergastolo per esserne stato riconosciuto colpevole non possa usufruire di sconti di pena.
Assai meno tranchant e radicale, rispetto a Salvini, la modifica ipotizzata dai cinquestelle sulla legittima difesa: verrebbe escluso l’eccesso colposo per chi non ha potuto valutare la consistenza della minaccia in virtù di condizioni oggettive, per esempio il fatto che l’aggressione avvenga di notte ( ma senza usare la locuzione nel testo di legge) o soggettive, o dovute allo stato di agitazione, o perché si è indotti in errore dall’aggressore. Ma le indagini su chi spara non sarebbero cancellate.