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Dodici persone ancora senza nome. E tante ancora disperse in mare, un numero indefinito, compreso tra 27 e 47. Il tragico naufragio di Cutro continua a produrre dolore, mentre in Calabria arrivano da tutto il mondo i parenti delle vittime. Per riconoscere i loro cari o nella speranza di vederli restituiti dal mare. Sono 69, al momento, le vittime accertate (l’ultimo corpo recuperato, questa mattina, è quello di un bambino) di una tragedia che, forse, si sarebbe potuta evitare. Ed è questo che ora la procura di Crotone, coordinata dal procuratore Giuseppe Capoccia, sta cercando di capire. I Carabinieri hanno ora acquisito le relazioni e gli scambi di mail e chat tra Frontex, Guardia di Finanza e Guardia Costiera, per capire se e dove il sistema si è inceppato. E ciò perché nonostante fosse stata segnalata la presenza di un’imbarcazione al largo della Calabria, in condizioni metereologiche tutt’altro che agevoli, nessuno è intervenuto fino a tragedia ormai avvenuta. Un avvitamento che l'ammiraglio in congedo delle Capitanerie di porto Vittorio Alessandro, intervistato dal Fatto Quotidiano, ha definito «distorsione istituzionale». Ovvero il «vizio», a partire dai decreti sicurezza in poi, di considerare il fenomeno migratorio come un caso di polizia e non come una situazione di potenziale pericolo. Ciò nonostante le convenzioni internazionali ribadiscono l’obbligo di salvare vite umane. «Credo proprio che abbia ragione», commenta al Dubbio Gregorio De Falco, ex senatore e ufficiale di Marina. «Nel momento in cui si dà luogo a procedure amministrative che di fatto distorcono le finalità di legge primarie si creano situazioni di distorsione che, in termini operativi, poi si traducono in pericolo», spiega. Si genera, cioè, un’impasse? «No - sottolinea -, si tratta di una scelta contra legem. Dare priorità ad una finalità che è secondaria rispetto alla tutela della vita e dell’integrità fisica è sicuramente una scelta sbagliata. Dal punto di vista logico, giuridico e umano». In concreto bisognerà vedere quali fossero i fatti a conoscenza dei soggetti protagonisti e se gli stessi fossero in condizione di valutare l’evento come situazione di soccorso. Ma la situazione di soccorso, prosegue De Falco, «non è necessariamente quella di distress. Lo dice il piano nazionale di soccorso, modificato nel 2020. La situazione Sar sussiste anche quando non si è ancora in condizioni critiche, ma quando, sulla base di un giudizio prognostico, anche infausto, tale pericolo può essere ipotizzato. Altrimenti non salveremmo più nessuno. In acqua, in inverno, si muore in pochi minuti. Tali situazioni vanno prevenute». Le informazioni fornite da Frontex, dunque, sarebbero bastate ad attivare la catena dei soccorsi? «Secondo le procedure operative standard - spiega - un'articolazione del ministero dell’Interno, il Nucleo di coordinamento centrale, stabilisce se c’è, nel caso specifico, un evento di polizia o un evento di soccorso. Con ciò facendo, però, di fatto si sottrae al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e al Comando generale delle Capitanerie di porto la responsabilità di qualificare un fatto come soccorso o meno. Qualora sia anche soccorso va trattato come soccorso, perché questo aspetto è preminente. Quando si ha a che fare con l'integrità fisica o con la vita delle persone il fatto deve essere prioritario rispetto a qualsiasi altra considerazione. Nel momento in cui c’è un incendio non si può andare a caccia dei piromani senza prima curarsi delle fiamme».
La relazione della Guardia Costiera
Ma come andarono quella notte gli eventi? Al momento l’unico racconto ufficiale disponibile è quello della Guardia Costiera, che ha stilato una relazione nella quale spiega come l’evento fu gestito dalla Guardia di Finanza come «un’attività di polizia marittima», nonostante il meteomar dell’Aeronautica segnalasse mare in burrasca fino al mattino. Dopo la segnalazione di Frontex, alle 23.03 di sabato 25 febbraio, che avvista il caicco a circa 40 miglia dalla costa calabrese, la Guardia di Finanza di Vibo Valentia contatta la Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, per sapere se sia a conoscenza della presenza del barcone. Ma precisando che la vedetta V5006 delle Fiamme Gialle è già in mare, trattandosi di attività di Polizia. Dunque a quel punto il centro di soccorso reggino si dice disponibile a spedire in mare la Cp321 e la Cp 326, ancorate nei porti di Roccella Jonica e Crotone. La GdF, però. tranquillizza i colleghi: l’attività è già in corso e in mano alle Fiamme Gialle, che attenderanno il barcone sotto costa. Ma più tardi, alle 3.48, ricontatta Reggio Calabria, avvisando che le proprie imbarcazioni – dunque due, non una – stanno rientrando in porto a causa delle cattive condizioni del mare. Sul radar, spiega, non risulta la presenza di alcun mezzo in mare. Nessun pericolo, dunque. Reggio Calabria, alle 4.06, comunica l’informazione a Roma. La tragedia però incombe. Alle 4.10, solo quattro minuti dopo, il 112 riceve una telefonata in inglese: è una richiesta d’aiuto e arriva dalla nave, ormai a pochi passi dalla costa. Due militari dell’arma si precipitano sulla spiaggia, ma a quel punto sono già presenti decine di corpi senza vita. Gli uomini della Guardia Costiera arriveranno, via terra, alle 5.35, quando ormai c’è solo da fare la conta delle vittime e sperare di trovare qualche superstite tra le onde.
La polemica politica
Sulla vicenda si infiamma intanto la polemica politica, con le richieste di dimissioni, in primis, del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Che martedì 7 marzo, alle ore 13, sarà alla Camera per un’informativa urgente sulla tragedia. Il capo del Viminale, giovedì, ha già esposto la sua versione dei fatti davanti al Copasir, parlando di una situazione «improvvisa e sfortunata». Nessun errore, ha sottolineato, bensì un evento imprevedibile causato dal peggioramento improvviso delle condizioni meteo. Condizioni che, al momento dell’avvistamento del caicco carico di migranti da parte di Frontex, non sarebbero state proibitive, ha affermato il ministro. Proprio per tale motivo la Guardia Costiera non avrebbe fatto partire le imbarcazioni autoraddrizzanti e inaffondabili utilizzate per gli eventi Sar, ovvero di soccorso. L’evento, in quelle ore, è stato invece gestito dalla Guardia di Finanza, che ha mandato in perlustrazione due motovedette per un’operazione di polizia dunque alla ricerca di eventuali crimini -, interrotta proprio a causa delle avverse condizioni meteo. Insomma, delle due l’una: se nemmeno i mezzi militari erano in grado di affrontare il mare di certo non poteva esserlo la barca marcia sulla quale viaggiavano almeno 180 persone. La cui presenza era stata comunque ipotizzata da Frontex, che oltre all’uomo solo in coperta aveva segnalato anche una significativa risposta termica proveniente dalla pancia della nave e una telefonata satellitare verso la Turchia. Indizi fortissimi, secondo l’Agenzia europea, della presenza di migranti a bordo. Ma il pericolo non è stato segnalato, così come confermato da Piantedosi. Proprio per tale motivo non è mai stato aperto un evento Sar, che avrebbe consentito il salvataggio delle persone a bordo. Il naufragio, dunque, sarebbe avvenuto soltanto a causa del peggioramento delle condizioni meteo, a seguito del quale la barca si è schiantata contro una secca spezzandosi in due. Ma nessuna responsabilità, secondo il capo del Viminale, sarebbe attribuibile ai soccorsi. Frontex ha chiarito, però, che una volta segnalata la presenza della nave sarebbe toccato alle autorità italiane stabilire il da farsi.