Per capire le logiche che muovono gli ingranaggi dello Stato russo l'incertezza è d'obbligo. Tra false notizie, opacità della comunicazione e realpolitik in purezza, ne esce una combinazione che quasi mai ci offre un'interpretazione univoca dei fatti. Questo vale anche e soprattutto per la vicenda dei mercenari del gruppo Wagner e del loro fondatore Yevgeny Prigozhin, un figliol prodigo che dopo vent’anni di servizi si è rivoltato contro il suo padrino Vladimir Putin con l’obiettivo di decapitare l'apparato militare di Mosca, dal ministro della difesa Shoigu al capo di stato maggiore Gerasimov. L'ultimo atto di un conflitto con le gerarchie militari che lo ha portato progressivamente in rotta di collisione con Il Cremlino.

La storia d’amore tra Putin e l'imprenditore senza scrupoli di San Pietroburgo, boss della ristorazione e delle milizie private, sembra essere giunta al capolinea. Eppure i due si conoscono dall’inizio degli anni 2000 e nel tempo hanno stretto un legame molto forte anche se Prigozhin ha sempre amato agire nell’ombra. Il presidente russo avrebbe potuto contare su una forza mercenaria di straordinarie capacità (ufficialmente vietata in Russia) per operazioni sporche in varie parti del mondo, Prigozhin si è arricchito sfruttando le ambizioni de cerchia di Putin che si è servito ampiamente della Wagner im Medio Oriente e Africa centrale. In un'apparente contraddizione, ai contractors è stata esternalizzata una funzione militare mentre Mosca, come da tradizione, pur se in maniera coperta, ha sempre mantenuto un ferreo controllo statale sulle sue operazioni oltre confine. Il paradosso è che con il protagonismo della compagnia si è invece arrivati ad una destabilizzazione.

Se il casus belli della marcia su Mosca risiede nella guerra intestina con i capi militari, solo poco tempo fa lo stesso Putin ha elogiato la compagnia di mercenari per il contributo dato nella resa di Bakhmout, non ha mai risposto agli strali di Prigozhin e, anzi, aveva promesso ricompense e decorazioni. Un segno di debolezza o forse un'illusione che mai si sarebbe arrivati, per i pregressi rapporti, a sfiorare una guerra civile.

Probabilmente al Cremlino si valutava che la fitta rete intessuta da Prigozhin con il potere reale mai avrebbe spinto la situazione così pericolosamente avanti. Il fondatore della Wagner è di fatto un articolazione stessa della macchina costruita da Putin. Solidi agganci con l'amministrazione presidenziale, con oligarchi come i potenti fratelli Kovalchuk, con il governatore di Tula, Alexeï Dioumine, ex generale e capo guardia del corpo di Putin, e anche con i ranghi dell'esercito nella persona del generale Sergei Surovikin.

Ma l'uomo diventato miliardario grazie alla ristorazione, ex venditore di hot dog nella prima Russia post sovietica, non è incline alla lealtà e soprattutto come ha dimostrato la sua storia personale ha sempre saputo sfruttare le occasioni, meglio se nascoste nelle zone d ombra. Condannato per la prima volta nel 1979 alla sospensione condizionale della pena per furto, gli fu inflitta, 2 anni dopo, una condanna a dodici anni di reclusione da parte del tribunale di Zhdanovski, a San Pietroburgo.

La confusione scaturita dalla fine del regime comunista è stata una manna per Prigozhin. Caos e assenza di leggi hanno favorito la sua audacia e propensione all'illegalità. Fino a fondare una catena di ristoranti di lusso e provvedere al vitto dell'esercito, la edificazione di una forza paramilitare e una fabbrica di troll. Contratti miliardari in cambio di fedeltà. Un calcolo errato di Putin che sembra ora ostaggio degli uomini sui quali ha costruito il suo potere.