Alessio Lanzi è un consigliere laico del Csm. Del nuovo Csm, che si riunirà per la prima volta in plenum giovedì prossimo. Quel giorno si procederà all’elezione del nuovo vicepresidente, che andrà scelto appunto fra uno degli otto laici. Tutti degnissimi: ma certo il curriculum di Lanzi non passa inosservato. Penalista e docente universitario: difficile dire quale dei due profili prevalga sull’altro, visto che il neoconsigliere, nato a Genova e milanese d’adozione, ha difeso in giudizio il gotha della finanza italiana, è stato avvocato in processi come quelli su Antonveneta e Parmalat, ed è l’unico dei componenti indicati dal Parlamento a poter vantare da oltre un quarto di secolo – dal 1980 per la precisione – il requisito di «professore ordinario in materie giuridiche», previsto dalla Costituzione per la nomina al Consiglio superiore. Tanto per dire, al Csm c’è già stato una mezza dozzina di volte, ma in veste di relatore e, appunto professore.

Sarebbe un candidato inattaccabile per la successione a Giovanni Legnini. Anzi lo è. E forse proprio per questo parte della stampa gli ha scaraventato addosso “l’accusa” di aver avuto, tra i propri assistiti, Fedele Confalonieri e l’avvocato inglese David Mills, coinvolto in uno dei processi a Berlusconi.

Non solo: per provare a scalfire la possibilità che venga eletto al vertice di Palazzo dei Marescialli, è stata rispolverata una sua antica posizione favorevole alla separazione delle carriere. Come se essere penalisti, e difendere dunque persone imputate di reati, fosse un’onta, o un atto di complicità. O come se sia normale discriminare gli studiosi per le loro idee, anche per quelle espresse lustri addietro. Lo faceva il fascismo. Difficile dire se gli attuali pesudobalilla facciano più tenerezza o spavento.

I penalisti fanno paura come se la loro matrice culturale non avesse diritto di cittadinanza? Considerati il ruolo riconosciuto all’avvocatura nel nostro ordinamento e i diritti costituzionali, non è possibile evidentemente discriminare i penalisti dai non penalisti. È previsto che ci siano avvocati tra i componenti del Csm, così come esiste il diritto costituzionale di difendere le persone. Non ha senso considerare l’avvocato che esercita la professione in campo penale come una sorta di minaccia culturale.

Le viene quasi rimproverato di essersi espresso a favore della separazione delle carriere. Ricostruiamo la questione: circa dieci anni fa la Camera decise di svolgere una serie di audizioni fra studiosi del diritto penale, in vista di un ddl di riforma della Costituzione, che avrebbe necessariamente dovuto avere l’iter previsto per le modifiche alla Carta. Furono sentiti soprattutto professori universitari: tra gli altri colleghi fui invitato anch’io, mi fu chiesto di esprimere un’opinione sulla separazione delle carriere e la mia opinione fu favorevole. Si tratta di un orientamento culturale comune a quasi tutta l’avvocatura e a gran parte dell’accademia. Sarebbe però importante inserire la circostanza nel giusto contesto temporale.

A cosa si riferisce? Al fatto che non parliamo di un’iniziativa culturale che avrei promosso o a cui avrei aderito, ma appunto di un’audizione sollecitata dal Parlamento in relazione a un disegno di legge, dunque della richiesta di un parere tecnico. Inoltre, l’episodio si verificò in un tempo antecedente sia la mia prima esperienza al Consiglio giudiziario di Milano, che risale al 2012, sia l’introduzione della normazione secondaria che ha in gran parte eliminato la sovrapponibilità fra funzioni requirenti e giudicanti.

La cosiddetta separazione delle funzioni. Tengo a ribadire che un simile atteggiamento culturale di massima non potrebbe in alcun modo condizionare qualsivoglia mio intervento in rappresentanza della magistratura.

Pensa che i togati del nuovo Csm possano sentirla “distante” dalla categoria in virtù di quella sua valutazione sulle carriere? Mi auguro proprio di no. Credo che nel sistema di pensiero democratico occidentale sia assolutamente normale seguire orientamenti culturali senza che poi li si persegua quando si agisce in rappresentanza di una determinata categoria.

Laicità di pensiero vuol dire questo, certo. Ma lei ha partecipato alla recente campagna dell’Unione Camere penali su una nuova legge d’iniziativa popolare per la separazione delle carriere? Non ho mai fatto parte degli organismi rappresentativi dell’Unione Camere penali né della Camera penale di Milano. Non ho mai partecipato ad elezioni per farne parte. Sono stato semplicemente indicato, dal 2010, quale coordinatore del Comitato scientifico della Camera penale di Milano. In tale veste ho organizzato, presieduto e svolto relazioni in convegni scientifici e di formazione per gli avvocati. Eventi culturali a cui hanno sempre partecipato numerosi magistrati e i maggiori studiosi di diritto del Paese, da Ferrando Mantovani a Marcello Gallo, Alberto Cadoppi, Paolo Veneziani, Filippo Sgubbi, Ennio Amodio e tanti altri. Ecco, il mio coinvolgimento nelle Camere penali è questo. Ma vorrei precisare che dopo l’audizione parlamentare di cui ho detto, non mi sono mai più espresso sul tema né ho mai formulato o sottoscritto documenti o petizioni sulla separazione delle carriere.

Professore, lei è in qualche modo destinatario di un tentativo di manipolazione mediatica. Sul linguaggio d’odio sui media, in particolare sui social, il Cnf ha tenuto il primo G7 dell’avvocatura. È un tema che considera allarmante? Sono orgoglioso di appartenere a un mondo, quello della giurisdizione, in cui si ricorre a un linguaggio assolutamente contrario al linguaggio d’odio. Faccio l’avvocato a Milano da quasi quarant’anni, ho fatto processi qui e in altri Tribunali e posso dire che, al di là della dialettica processuale, non mi sono mai scontrato né sono entrato in polemica con alcuno dei magistrati incontrati nell’esercizio della professione. D’altronde, ho avuto un padre magistrato che ha sempre esercitato le funzioni di pubblico ministero. E tra le cose che ricordo con la più grande commozione, c’è quella di aver tenuto una commemorazione ufficiale di Emilio Alessandrini a Pescara, in occasione di un incontro fra i Consigli giudiziari della città abruzzese e di Milano. Ebbi il piacere di conoscere e frequentare, per qualche tempo, Alessandrini, prima che fosse assassinato. Era una persona amabilissima, oltre che uno straordinario magistrato.