NOSTRA INVIATA A KIEV

«Nessuno è pronto a morire, nessuno di noi lo è. Voi lo sareste?». Pone una domanda a tutta l’Europa Vitaliy Klitschko, sindaco di Kiev, durante il suo intervento di ieri nel comune della capitale. E’ lui ad accogliere la delegazione italiana del Mean, Movimento europeo di azione nonviolenta, arrivata in Ucraina domenica sera per il primo evento di «costruzione attiva della pace» che si è tenuto in occasione di una data simbolica, l’ 11 luglio, giorno di san Benedetto e anniversario della strage di Srebrenica.

Nel ringraziare l’Italia per la solidarietà manifestata in questi mesi, il primo cittadino spiega che l’Ucraina ha bisogno soprattutto di risorse da destinare alla ricostruzione delle infrastrutture: «La nostra intera economia è distrutta - dice -. Abbiamo bisogno di ripristinare la normalità. Ci sono decine di edifici distrutti anche qui, in città. Dobbiamo ricostruire le scuole, innanzitutto, per garantire un futuro ai nostri bambini».

A chi gli chiede cosa si aspetta dall’Europa, Klitschko ricorda che «è un errore credere che questa guerra non riguardi tutti noi». Perciò è necessario essere «propositivi», agire, con qualunque azione possibile, per fermare l’invasione russa. E difendere i nostri «comuni valori, i diritti umani - chiosa il sindaco di Kiev. Serve unità - politica, della società - per costruire la pace».

Al suo fianco, sul palco, il portavoce del Mean Angelo Moretti, che negli ultimi mesi ha coordinato il Movimento nato dall’aggregazione di 35 organizzazioni italiane e ha avviato una costante interlocuzione con le autorità e la società civile ucraina. «Oggi ci siamo riuniti qui per dirvi che anche come società civile non siamo tranquilli: così come i nostri governi cercano possibili modi per cessare il fuoco, anche noi come società civile ci sentiamo chiamati sul campo di battaglia. Perché se non possiamo ancora fermare la guerra, sappiamo però che possiamo avanzare il mondo insieme, togliendo il veleno della guerra», spiega Moretti rivolgendosi al pubblico ucraino. «L’Ucraina non è il nostro palcoscenico, è il luogo della solidarietà umana», sottolinea il portavoce di Mean.

E la parola d’ordine è ancora una volta pace, una pace da costruire predisponendosi all’ascolto. Con l’obiettivo di «costruire un nuovo pacifismo Ue insieme» alla società ucraina. E anche «per difendere - insieme ai dissidenti russi - il futuro della cultura russa, la sua letteratura, la sua musica, i suoi campioni sportivi, la sua arte». Il progetto Mean, nato lo scorso aprile, ha infatti lo scopo di favorire il dialogo tra società civile europea, quella ucraina, e quella russa, attraverso azioni concrete e «portando i propri corpi» sul luogo del conflitto.

Un lavoro iniziato ieri con una giornata di incontri e dibattiti, a cui ha preso parte anche il nunzio apostolico, e nel corso del quale hanno raccontato le loro esperienze numerose personalità della società ucraina. Due gli slogan che hanno accompagnato la manifestazione, avviata domenica sera con il collegamento con Kiev di 15 piazze italiane ed europee: “We are all Ukrainians. We are all Europeans”, siamo tutti ucraini, siamo tutti europei. E “More arms for hugs”, più braccia per gli abbracci. A brandirli è anche Marco Bentivogli, sindacalista e coordinatore di Base Italia, che insieme ai volontari e all’eurodeputato dem Pierfrancesco Majorino, si è unito alla delegazione italiana.

«Dopo 5 mesi dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina - spiega Bentivogli - l’attenzione mediatica inizia a lasciare posto ad una lunga campagna elettorale. Mesi in cui è emerso un giornalismo di alto livello accanto al peggiore mai visto. Non tutti sono strumento della disinformazione di Putin, gran parte della politica e dell’informazione hanno un problema di formazione, di etica, di cultura, sono sommerse dalle ondate di opinionismo. Pensieri banali, polarizzati: “Pacifisti” contro “guerrafondai”, “la Nato contro la Russia”».

Per questo in molti faticano a comprendere questa iniziativa, un’azione non violenta che condanna l’invasione russa e comprende le ragioni della resistenza ucraina. Mirando al contempo alla costruzione della pace, che non si «può lasciare ai “neutralisti” o ai furbetti “complessisti” e non può essere delegata interamente a nessuno Governo - sottolinea Bentivogli -. Può e deve, diventare un processo, realmente irreversibile, se entrano in campo i cittadini, le persone, la nostra capacità di ricostruire legami di comunità». «Il nostro obiettivo - conclude - è proprio questo: costruire uno spazio sociale comunitario concreto. La pace e l’Europa non sono due bandierine astratte. Ma processi culturali, politici, umani, da edificare e custodire ogni giorno».