Nel film La parte degli angeli di Ken Loach, ambientato in Scozia, c’è un giovane ragazzo, Robbie, con il passato da teppista, che riduce su una sedia a rotelle un suo coetaneo per un diverbio stradale. A Robbie non viene inflitta la punizione carceraria, ma un percorso in comunità basato su lavori socialmente utili, che inizia dopo un toccante incontro con la madre della vittima, la quale in presenza di funzionari della giustizia e dei servizi sociali lo apostrofa disperata: «Vedi come hai ridotto mio figlio? Ti rendi conto?».

A quel punto Robbie ha una reazione a sua volta disperata, piange, si mette la mano tra i capelli, trema. Robbie si è reso conto del male che ha fatto.

Ken Loach ha centrato il suo film su una fase importante della “giustizia riparativa”. In quel caso, riguardante ragazzi e ragazze adolescenti.

In Italia, tale istituto, attraverso la riforma Cartabia, da nicchia potrebbe diventare sempre più esteso anche nel contesto degli adulti. Ma la prima forma di giustizia riparativa l’abbiamo avuta in Sudafrica tra il 1994 e il 2002, quando il Paese “inventò” e sperimentò un’idea di giustizia diversa. Di tipo ‘riparativo’. «Sapevo che l’oppressore è schiavo quanto l’oppresso, perché chi priva gli altri della libertà è prigioniero dell’odio, è chiuso dietro le sbarre del pregiudizio e della ristrettezza mentale.

L’oppressore e l’oppresso sono entrambi derubati della propria umanità. Da quando sono uscito dal carcere è stata questa la mia missione: affrancare gli oppressi e gli oppressori»: con queste parole Nelson Mandela concluse la propria autobiografia scritta durante quasi tre decenni di prigionia e pubblicata nel 1994.

E fu di parola, nonostante la brutale carcerazione che aveva subito. Ricordiamo che la politica dell’Apartheid fu perfezionata nel 1951 con la costituzione dei bantustan,

chiamati formalmente homelands (“patrie”), territori destinati ai diversi gruppi bantu, che così erano separati sia dalla comunità bianca al potere, sia tra loro. Fu una politica di segregazione razziale, politica statale globale sostenuta da leggi, inerente tutti gli aspetti della società e tesa a garantire l’assoluto predominio della minoranza bianca. Gli oppositori dell’apartheid sono stati perseguiti penalmente e il governo ha inasprito la propria politica di repressione fino a trasformare il Sudafrica in uno stato di polizia. Con la segregazione ci sono stati duri anni di soprusi e intolleranze. Solo nel novembre del 1993 viene raggiunto un accordo che mette fine all’apartheid, e nel 1994 si tengono le prime elezioni politiche in cui votano gli appartenenti a tutte le razze. Vince Nelson Mandela, primo presidente di colore del Sudafrica dopo ventisette anni di reclusione.

Due anni dopo, nel maggio 1996, viene varata la nuova Costituzione del Sudafrica. Mandela, però, sapeva che per ricostruire il futuro sulle basi del passato, si doveva prima fare pace con il passato stesso. La riconciliazione in Sudafrica è stata un processo storico, e soprattutto una lezione sui diritti umani per l’intera umanità. Venne così istituita la Commissione per la verità e la riconciliazione in cui gli aguzzini dovevano confrontarsi con le vittime, guardarle negli occhi e ascoltare le atrocità subite. Diventò quindi un tribunale in cui i carnefici (non solo gli aguzzini del regime, ma anche quanti, nella lotta antisegregazionista, si erano macchiati di delitti) erano chiamati a dare testimonianza piena, di fronte alle vittime, dei loro atti, inclusi i più aberranti. In cambio potevano ottenere, in una seconda fase, l’amnistia per quanto avevano confessato. Un tribunale che non condannava, ma assolveva dopo il confronto: la presa di coscienza di quanto hanno fatto i colpevoli ha avuto più valore di qualsiasi altro tipo di punizione per entrambe le parti.

Non è stato un percorso facile, l’accertamento della verità, l’ammissione delle colpe, il perdono, l’amnistia: dal rapporto della Commissione del 1998 consegnato a Mandela, emergono 21.800 terribili testimonianze rese da vittime e familiari, 1.163 i persecutori amnistiati. Non è stato facile, ma grazie al processo di riconciliazione, la strada verso la pace è stata macchiata di molto meno sangue di quanto fosse lecito attendersi dopo una storia di atroce razzismo e di feroce crudeltà. Al di là dell’aver evitato il bagno di sangue e aver interrotto la spirale perversa dei regolamenti di conti, la Commissione ha segnato uno spartiacque soprattutto nella cultura giuridica internazionale. Non è un caso che nel 2015 l’Onu ha adottato gli standard minimi di tutela in materia di trattamento penitenziario dei detenuti, le “Mandela Rules”, in onore appunto di Nelson Mandela. E non è un caso che alla seconda pagina del documento approvato, compare anche la “giustizia riparativa”.