Confermata la condanna a 4 anni e 7 mesi per Emilio Fede e quella a 2 anni e 10 mesi per Nicole Minetti per favoreggiamento della prostituzione. La Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi dei due imputati al processo Ruby bis, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore generale Giuseppina Casella, secondo cui quella che si svolgeva ad Arcore era «attività di prostituzione».

Secondo Casella, «correttamente la Corte di merito ha qualificato come attività di prostituzione quella che si svolgeva ad Arcore» e «tanto basta per escludere che si trattasse di mantenute, ma al massimo di “favorite di turno”». Il pg ha inoltre definito «manifestamente infondata» la questione di legittimità che la difesa di Fede ha riproposto nel suo ricorso in Cassazione relativamente alla legge Merlin ( di recente sottoposta all’esame della Consulta che ne ha ribadito la legittimità) e i reati di induzione e favoreggiamento della prostituzione.

«Ampiamente riscontrata», inoltre, la «veridicità di Imane Fadil», la testimone- chiave del caso Ruby, sulla cui morte, avvenuta a inizio marzo, la cui morte, è stato aperto un fascicolo dalla procura di Milano. Le sue dichiarazioni, ha affermato Casella, «trovano riscontro in quelle delle altre ragazze e nelle intercettazioni telefoniche».

In primo grado, nel luglio 2013, il tribunale di Milano aveva condannato a 7 anni Fede e Lele Mora, mentre alla Minetti erano stati inflitti 5 anni. Condanne ridotte in appello il 13 novembre 2014, quando a Mora vennero inflitti sei anni e un mese di carcere. L’ex agente dello spettacolo non impugnò la sentenza di condanna, passata dunque in giudicato.

Fede e Minetti, invece, nel 2015 presentarono ricorso in Cassazione e la Suprema Corte, rilevando alcune lacune motivazionali, annullò la sentenza d’appello disponendo un nuovo processo. La Corte d’appello di Milano, in sede di rinvio, assolvendo i due imputati da alcuni episodi di reato che erano stati loro contestati, abbassò le pene. SI. MU.