“Sono di fede repubblicana all’estero, ma decisamente monarchico in Gran Bretagna”, era solito dire a chi lo andava a trovare nella casa di Oxford Denis Mack Smith, il grande storico inglese che aveva imparato l’italiano da ragazzo, conversando con Benedetto Croce, e che tanti dei propri studi aveva dedicato a una monarchia, quella italiana dei Savoia, che gli sembrava tra le peggiori.

In Inghilterra, invece, è tutt’altra cosa e – celiando un po’ - si potrebbe anche dire che l’inquilino di Buckingham Palace ha qualcosa di rilevante in comune con quello del Quirinale: Carlo III, come Sergio Mattarella, rappresenta l’unità nazionale. Esercita un ruolo di equilibrio istituzionale perché la sua carica e le sue funzioni sono sottratte all’influenza della politica: i premier passano, i Windsor restano. Per il Regno Unito, scosso dalle tremende fibrillazioni della Brexit, che assieme all’inflazione a due cifre l’ha non poco impoverito, dilaniato dal declino dei Tories che da Cameron fino a Sunak passando per Theresa May, Boris Johnson e Liz Truss hanno insediato a Downing Street un premier più inadeguato dell’altro, e con l’integrità nazionale fortemente a rischio per le spinte secessioniste della Scozia e non solo, la monarchia costituzionale resta un baluardo della democrazia. Di fatto, l’unica istituzione solida. L’unica fonte di stabilità: un po’ come in Italia il Quirinale, per l’appunto.

Come interpreterà il ruolo, dopo il settantennio della seconda era elisabettiana, Carlo III che sarà incoronato sabato mattina con festosa e fastosa cerimonia a Westminster? La prima novità è che l’incoronazione è doppia, sarà un re che farà una regina: Camilla non sarà un semplice principessa consorte, com’era Filippo di Edimburgo per Elisabetta II. Poiché nei riti il simbolico è essenziale, a Camilla verrà imposta la stessa corona della regina Mary nel 1911, ma senza il Koh-i-Noor, uno dei diamanti più grandi del mondo, che è però bottino di guerra coloniale, acquisito dalla regina Vittoria assieme a tutto il Punjab. Il Commonwealth, ovvero l’organizzazione internazionale attraverso la quale le ex colonie di quello che fu lo sterminato Impero britannico continuano ad accettare su base volontaria l’influenza di Londra, è troppo importante per poter creare anche il minimo malumore.

Altro passaggio simbolico, tra i duemila che assisteranno alla cerimonia a Westminster, pochi Commons e Lords: sorteggiati, per giunta, perché l’abazia è affollata dai rappresentanti delle organizzazioni di charity e volontariato, anche ambientaliste, care a Carlo d’Inghilterra. Tabloid e anche serissimi media saranno infarciti di pezzi di colore, e anche di critiche al vetriolo su dettagli, come è già capitato al momento della successione al trono col filmato in cui Carlo di Windsor si seccava perché per la firma di un atto ufficiale in diretta televisiva da un improvvido valletto gli era stata data una penna che non funzionava. Ma al di là dei consueti veleni dei royal watching, a Buckingham Palace ci sarà un settantaquattrenne con il carattere temprato dalla lunga attesa per la successione, dalla terribile vicenda del matrimonio e della tragica morte di Diana, e soprattutto del divorzio: con tutta l’umana comprensione per Lady D, Carlo d’Inghilterra non ha mai pubblicamente replicato nemmeno a un delle feroci accuse che gli venivano mosso, preservando la corona oltre che la sua stessa dignità.

Un uomo che arriva ad essere re avendo accanto la donna che ama, come universalmente noto. Un uomo con un forte senso of humour, (“Liz, sei ancora qui?”, disse tendendo la mano alla prima premier che dovette incontrare a Palazzo, e le cui dimissioni erano previste di lì a pochissimo, come infatti avvenne). Un uomo con un acuto senso politico: a chi scrive capitò di assistere a un suo colloquio con Antonio Maccanico. Maccanico era reduce dal noto e omonimo tentativo, non andato a buon fine, di formare un governo che sostituisse quello di Silvio Berlusconi nel 1996: dalle domande sulla situazione politica italiana che Carlo faceva a Maccanico, e dalle repliche alle sue risposte, era chiaro che il principe ereditario conosceva e comprendeva alla perfezione i meandri -complicatissimi, specie per chi vive nel paese del modello Westminster- della politica italiana.

In più, Carlo d’Inghilterra è da almeno mezzo secolo, un ambientalista convinto, e da altrettanto un precursore del biologico. Un imprenditore, anzi, date le floride condizioni della sua azienda di Highgrove, che vende i suoi prodotti in tutto il mondo (per decenni in “concorrenza” con i té, i caffé, le salse e le marmellate non biologiche che avevano l’”appointement” di Elisabetta II). Carlo III ha già fatto sapere che da re non potrà sventolare la bandiera verde come ha fatto da principe ereditario, e non potrà fare quel che sempre fatto, ovvero presenziare alla Cop27 perché il governo glielo ha vietato. E infatti ha passato il testimone al figlio William.

Anche se naturalmente i modi per esercitare la propria influenza in materia sono molti e non mancheranno, l’impegno cruciale sarà quello consueto dei Windsor: preservare la corona. Il problema non sono tanto in sondaggi che danno i britannici favorevoli alla monarchia in media al 58 per cento (ma tra gli over 65 si sale al 78%). Il nemico non sono i repubblicani, e nemmeno i brexiter. Il nemico che Carlo III ha di fronte è lo stesso che affligge tutte le democrazie contemporanee: l’indifferenza. L’apatia politica e il sonnambulismo democratico.