Ma come è andato l'incontro tra Draghi e Conte? Atteso, sofferto e, tanto per aumentare la suspence, pure rinviato di 48 ore per cause di forza maggiore si è infine svolto e al termine sembra di trovarsi di fronte a Rashomon. Per palazzo Chigi è andato benone. Non è che il capo dei 5S abbia squadernato richieste ultimative, come per la verità lui stesso va dicendo. Piuttosto ha illustrato al premier le condizioni per restare al governo: bandiere identitarie, punti fermi da sempre il Movimento che però coincidono in buona parte con la strategia del governo. Sono passi avanti in piena continuità, non sterzate drastiche e cambi di rotta. Ma l'importante è che Conte al governo ci resta, che avrebbe garantito immutato sostegno.

Solo che Conte vede le stesse cose, le stesse frasi, lo stesso colloquio in maniera diametralmente opposta. «Non ho dato rassicurazioni. Non ho firmato cambiali in bianco. Il futuro della nostra collaborazione al governo dipende dalle risposte che avremo». Allude a quelle richieste che secondo l'interlocutore non esisterebbero. Lista folta: fine degli attacchi al Rdc, salario minimo, taglio del cuneo fiscale, contrasto ai rincari energetici, Superbonus al 110 per cento, scioglimento immediato dei nodi sulla cessione del credito. Sullo sfondo campeggia la richiesta- madre, la condizione senza la quale non avrebbe senso neppure leggere il cahier des doléances pentastellato.

A esplicitarlo e il più contiano dei 5S, l'uomo di fiducia del leader e suo ex sottosegretario a palazzo Chigi, Mario Turco: un massiccio scostamento di bilancio. Cioè quel che Draghi non vuole e forse, data la rigidità dei vincoli europei, neppure può concedere. L' “avvocato del popolo” non si aspetta una risposta immediata, giura di capire la necessità per Draghi di pensarci bene. Però la risposta deve arrivare «non oltre la fine di luglio», perché ormai Conte una certa esperienza politica se l'è fatta e vede da solo la manovra che mira a rinviare tutto sino alla legge di bilancio, quando sarà troppo tardi per eventuali spallate. Pazienza sì, quindi, ma non tanta da scavallare l'estate.

Nel partito più coinvolto nella sfida, il Pd, assistono alla stessa proiezione del capolavoro di Kurosawa sulle diverse facce della stessa realtà, Rashomon appunto. C'è chi sbotta e bolla le condizioni come «inaccettabili», vaticinando di conseguenza il botto di qui a un mese. C'è chi invece guarda al sodo e considera essenziale il fatto che si prosegua. A forza di penultimatum a fine legislatura ci si arriva. Non che siano letture disinteressate. Da una parte c'è la minoranza che non vede l'ora di liquidare una volta per tutte l'alleanza con i 5S, aspetta solo l'appiglio giusto e sa che l'uscita dal governo, con il coro mediatico che ne seguirebbe, sarebbe ben più di un semplice appiglio. Dall'altra c'è la maggioranza di Letta e Franceschini, le cui minacce suonano in realtà come appelli quasi disperati a Conte perché non presti il fianco a chi non vede l'ora di sabotare il “campo largo”.

Un fascio di luce potrebbe gettarlo il voto di fiducia di oggi. Negare la fiducia, anche solo non partecipando al voto, significherebbe dire che la situazione è davvero al limite e probabilmente irrecuperabile. Concederla nonostante la norma sul termovalorizzatore a Roma e nonostante l'ennesimo schiaffone del premier, consistente nel fatto stesso di apporre la questione di fiducia, vorrebbe dire confessare la propria impotenza e siglare l'ennesima resa di fatto. Purtroppo per gli amanti della chiarezza l'avvocato Conte è un mago nel trovare formule di alto equilibrismo capaci di assicurare ambiguità comunque. Quindi il Movimento si sta orientando verso il voto a favore della fiducia, per non ritrovarsi con un piede fuori dal governo, ma poi a sfavore del provvedimento nel complesso, per tenere alta la tensione. Una formula, peraltro, di cortissimo respiro dal momento che al Senato, dove il decreto deve per forza essere votato la settimana prossima, il voto è unico, al contrario della Camera, e concedere la fiducia vuol dire approvare l'intero testo automaticamente.

Come finirà il mese di turbolenza che promette e minaccia Conte non può dirlo nessuno, anche perché l'evolversi del quadro internazionale, cioè la guerra, potrebbe avere un peso notevole. Se la tensione mondiale si allentasse, il governo Draghi sarebbe la prima vittima di un clima anche solo un po' rasserenato. Ma comunque vada a finire governare un Paese con una maggioranza nella sostanza inesistente in un frangente come questo non è il massimo per l'Italia e non lo è neppure per Draghi.