«È un atteggiamento profondamente sbagliato. Chi grida “al fuoco al fuoco”, poco importa si tratti di Paul Krugman o di Maurizio Martina, corre il rischio di alimentarlo». Non che Claudio Petruccioli, ex presidente Rai, intenda fare sconti al governo M5S- Lega che nasce: al contrario.

Il suo è un ragionamento figlio di una doppia considerazione: il governo Conte nasce nel corso di una crisi più traumatica di quella di Tangentopoli e dell’arrivo di Berlusconi nel 1994; la maggioranza che lo sostiene non è il frutto di una manovra di Palazzo bensì poggia su una precisa scelta degli elettori. Ma proprio per questo l’approdo non può essere “sfascista”: chi ha a cuore le sorti del Paese, ciascuno nel suo ruolo e con le responsabilità che gli competono, si deve impegnare affinché si evitino sbocchi traumatici; il che è possibile solo se si cercano e si trovano soluzioni stabili ed efficaci alla “crisi di sistema”.

Magari qualcuno potrebbe sostenere: i soliti appelli giusti ma retorici...

«Vorrebbe dire che non afferra né l’importanza né la drammaticità della fase che stiamo vivendo. E’ in atto una crisi di sistema: chi non lo capisce è fuori strada. Il governo Conte nasce sulla base dell’unica maggioranza possibile: Lega più Cinquestelle. Il voto dei cittadini del 4 marzo ha introdotto una vera e rilevante discontinuità nella vicenda italiana non solo nella sfera politica ma anche nello spirito pubblico. Vorrei insistere, in modo se vuole anche pignolo, su questo assunto. Qualunque analisi e di qualsiasi tipo si voglia fare, il punto di partenza non può che essere il voto dei cittadini. E’ un voto che contiene una vera cesura, più grande ancora di quella contenuta nella vittoria del No al referendum costituzionale. Ed ha premiato forze che si sono presentate agli elettori, per così dire, con la scopa in mano. Lega e M5S hanno detto agli italiani: se ci date la scopa, spazziamo via tutto quello che c’è stato finora».

Messaggio esplicito e vincente...

«Che ha riguardato certamente l’Europa ma è andato molto più a fondo; si è ispirato a una visione della democrazia per cui il popolo si esprime e chi prevale deve eseguire ciò che, a suo avviso, il popolo ha detto. Una visione che - in accordo con tanti studiosi che hanno affrontato il problema - definirei non liberale».

Scusi, “visione non liberale” che significa: eversiva? autoritaria? distorcente?

«Il concetto diventa chiaro se consideriamo il tweet di Alessandro Di Battista nei riguardi del Quirinale. La democrazia si fonda certamente sulla volontà popolare ma poi è affidata all’equilibrio di poteri e all’esistenza di pesi e contrappesi. La visione non liberale, che è quella dei “vincitori” del 4 marzo, non considera questa seconda, fondamentale, parte dello “stato di diritto”».

Petruccioli, la discontinuità di cui parla, dove ci porta?

«Ci porta ad una fase di stress- test che riguarderà tutti gli attori in campo: governo, partiti, forze sociali, imprenditori, media. Attenzione però, non parlo dello stresstest che fanno le banche: quello è simulato. Questo, al contrario, avviene in corpore vivi, sulla pelle dei cittadini e dell’Italia ( per non dire delle conseguenze europee): con esiti operativi in tempo reale. L’assemblea della Confindustria mi pare abbia manifestato una certa consapevolezza del problema. All’opposto, Susanna Camusso al Fatto quotidiano lamenta che il contratto di questo governo “parla al suo popolo”: mi sembra una dichiarazione di fallimento di una intera politica sindacale».

Poi lo stress- test riguarda le istituzioni...

«Ovviamente. Basta considerare il processo di selezione che ha portato alla scelta di Giuseppe Conte come premier: un assoluto inedito. E’ la conferma che la crisi di sistema lambisce ora perfino il Colle; la nota del Quirinale sui “diktat” non lascia dubbi in proposito. Poi c’è la Pubblica amministrazione; le magistrature e così via. Per non parlare del sistema informativo: il giornalismo dovrà fare i conti con quello che sta già accadendo e accadrà, come dovrà farli la cultura».

Parliamo di Lega e M5S: reggeranno o no?

«Prima è necessaria una parola sul presidente del Consiglio. Lo stress- test varrà in primo luogo per lui. Come eserciterà il suo ruolo: come vuole la Costituzione o in qualità di “esecutore” di indicazioni maturate altrove, come sostiene Di Maio? Non può essere un Cancelliere, ma neanche deve diventare un usciere... Se l’interpretazione della funzione di presidente del Consiglio dovesse risultare degradata, diminuita, si produrrebbe già un cambiamento di fatto, sostanziale, della Costituzione. Poi naturalmente lo stress- test riguarda i due protagonisti politici, appunto Lega e M5S».

Su di loro che conseguenze avrà?

«Dipende se l’alleanza di governo dura oppure precipita in pochi mesi. Ma anche qui serve una premessa. Nei giorni scorsi ho avuto uno scambio di tweet con Mario Ricciardi, direttore del Mulino. Sosteneva che il peso della Lega sarebbe risultato preponderante rispetto ai Cinquestelle che paragona a una scatola del Lego, piena di mattoncini a disposizione di altri. Ho poi letto sul Corriere Massimo Franco che paragona l’M5S al pongo. Si tratta di una micidiale mistificazione. Non è affatto vero: il processo che nel Paese ha portato alla discontinuità del 4 marzo non l’ha cominciato la Lega. L’iniziale tono antisistema della Lega bossiana si è, poi, diluito e acquetato dentro il blocco di governo a guida Berlusconi. Lo scardinamento, la scopa di cui parlavo prima, ha preso le mosse dai Vaffa di Grillo lanciati dieci anni fa. La Lega di Salvini, con i suoi estremismi lepeniani, si è aggiunta al progetto “scardinamento” solo negli ultimi cinque anni».

Va bene, e ora che succede?

«Le possibilità sono due. O il governo cade tra pochi mesi a causa di rotture o incompatibilità, e allora M5S e Lega potrebbero, anzi dovrebbero andare a nuove elezioni in competizione l’uno contro l’altra. Ma risulterebbe poi illogico se a urne chiuse dicessero: adesso rifacciamo maggioranza insieme. Se al contrario il governo pentaleghista dura, alle elezioni si presenteranno distinti ma non certo alternativi. Faranno come la Dc e il Psi nella cosiddetta prima Repubblica».

Nell’attesa, le opposizioni come devono comportarsi?

«Se M5S e Lega rompono dopo pochi mesi, per esempio sull’Europa, sarà ovvio che il Pd cerchi di connettersi con chi si schiera a difesa dell’edificio Ue. Ma solo a quel punto, sulla base di fatti, non prima sulla base di chiacchiere: è una considerazione che offro al mio amico Giorgio Tonini. Se invece durano, il ruolo dell’opposizione dovrà essere completamente diverso. Stabilirlo adesso, e addirittura dividersi come avviene nel Pd, è inconcepibile. Il posizionamento giusto dev’essere: sto all’opposizione cercando di costruire le condizioni per una alternativa vincente».

C’è chi preme sull’acceleratore dell’allarme democratico...

«Bisogna essere chiari: se lo stresstest finisce male, è l’Italia che rischia il fallimento. Detto questo, va rifiutato un atteggiamento psicologico e intellettuale inutile e fuorviante in virtù del quale le opposizioni, i media, la cultura si mettono a gridare “al fuoco, al fuoco”. Al contrario, ognuno va duramente richiamato all’esercizio delle proprie responsabilità. Soprattutto è necessario rivolgersi ai cittadini senza rimproverarli per le scelte che hanno fatto ed evitando ogni atteggiamento tipo “ben vi sta, ve lo siete voluto”. Avere con loro un dialogo costante senza essere corrivi o paternalisti. Il populismo si contrasta con idee e comportamenti opposti, facendo leva sul ragionamento, la responsabilità, la verifica nei fatti».