È possibile costruire un sistema di relazioni internazionali fondato sulla pace e cooperazione tra Paesi che prescinda dal regime che i Paesi adottano al loro interno?

È stata la grande settimana cinese, apertasi con il più grande summit mai tenuto dello SCO e conclusasi con l’imponente parata militare. Non è stato solo lo sfoggio di potenza e prestigio nazionale, ma l’occasione per proporre un nuovo ordine internazionale (GGI, Global Governance Initiative) che faccia del multilateralismo la stella polare, e che, come ribadito da Xi, in contrapposizione a quello attuale, dominato dall’occidente, porrebbe sullo stesso piano nazioni grandi e piccole, assicurerebbe una pacifica convivenza tra i popoli e una maggiore democrazia nelle relazioni internazionali. Si tratterebbe, quindi, di reimpostare la convivenza tra popoli richiamandosi allo spirito del tempo che portò alla nascita dell’ONU.

Non è quindi un caso che sia Putin che Xi Jinping abbiano, negli scorsi giorni, ricordato la fine della II guerra mondiale esaltando il ruolo di Russia e Cina nella vittoria sul nazifascismo. Se in un caso, la Russia, la narrazione di Stalingrado e della resistenza del popolo sovietico ha dominato negli ultimi decenni (con opportune lacune e amnesie circa il patto Molotov Ribbentrop), per la Cina si tratta di una rivendicazione meno usuale.

Quest’anno, però, cadono gli 80 anni dalla conclusione della guerra sino giapponese che si sovrappose alla guerra mondiale, celebrati non solo con la parata (che si svolgeva tra le due date monumentali 1945 2025), ma con emissione di francobolli, mostre e spettacoli teatrali. Anche qui con qualche lacuna, visto che all’epoca non esisteva ancora la repubblica comunista cinese, ma il recupero della memoria compensa in parte l’ignoranza generale su ciò che accadde laggiù in quegli anni.

Se infatti abbiamo ben presente gli avvenimenti del teatro europeo, con gli orrori nazifascisti, siamo molto meno consapevoli degli spaventosi massacri che avvennero in territorio cinese ad opera dei giapponesi e che causarono molti milioni di morti. Uno su tutti, lo stupro di Nanchino, che fece inorridire persino alcuni nazisti tedeschi lì presenti.

Recupero della memoria, quindi, in parte dovuto, ma non sfuggono i risvolti politici. Vale dire, da un lato mettere sul banco dei colpevoli storici il Giappone, attualmente in orbita saldamente occidentale e che sta procedendo, dopo decenni di smilitarizzazione, a piani di riarmo per i timori di Cina e Corea del Nord, e la Germania, asse portante dell’Unione Europea schierata al fianco dell’Ucraina.

Ma dall’altro, da parte di Russia e Cina, con il rimarcare (ed esaltare, e anche un po’ esagerare) il proprio ruolo di allora nella sconfitta del nazismo e nella nascita dell’ONU, c’è l’affer-mazione implicita del diritto di poter, oggi, ridisegnare una nuova convivenza internazionale. Una sorta di rifondazione dell’ONU da parte di chi contribuì a fondarlo. Multilateralismo, quindi, e rispetto di piccoli e grandi.

Il che, ovviamente, è nobile e condivisibilissimo proposito. Ma l’ONU, e basta leggere la sua carta fondamentale, non scindeva diritti umani e diritti delle nazioni. Dice infatti il preambolo della Carta che i popoli delle Nazioni Unite sono determinati “a riaffermare la fede nei diritti umani fondamentali, nella dignità e nel valore della persona umana, nei diritti uguali tra uomini e donne e tra le nazioni grandi e piccole”. È quindi, una sorta di costruzione dal basso: affermando il diritto delle persone, allora si arriva ad affermare i diritti delle nazioni; i diritti della persona e delle nazioni sono inscindibili, sono facce della stessa medaglia.

Ma questo richiamo ai diritti umani è oggi molto evanescente. Né potrebbe essere altrimenti, visto che a sostenere il nuovo Ordine sono Stati come la Cina, la Russia, l’Iran o la Corea del Nord. E, duole dirlo, vedendo la pericolosa deriva negli USA e la crescita in Europa di partiti dichiaratamente neofascisti, molte preoccupazioni, circa il rispetto dei diritti umani o la democrazia, riguardano anche casa nostra.

Rimane però il punto centrale. La fondazione dell’ONU non fu solo un patto tra i vincitori del nazifascismo, ma fu anche l’affermazione che la convivenza pacifica tra popoli si dovesse fondare sui diritti umani. La storia poi ci ha mostrato come le speranze siano andate in gran parte deluse, ma il nuovo ordine mondiale proposto dal capo di un Paese che (eufemismo) non brilla per democrazia, si limita ad invocare un’architettura tra stati prescindendo, anche se solo come auspicio, dai fondamenti posti allora dall’ONU, cioè i diritti della persona.

E quindi sorge la domanda: sarebbe democratica, come invoca Xi, una convivenza tra stati che, al loro interno, tutto sono fuorché democratici? Come si possono chiedere uguali diritti per stati piccoli o grandi se poi quegli stati negano, al loro interno, i diritti umani? Per la Carta dell’ONU non sarebbe stato possibile, per la GGI di XI (e Putin), evidentemente, lo è.