Perché non si concede alla difesa di Massimo Bossetti la possibilità di effettuare per la prima volta le analisi sui reperti? L'uomo è stato condannato all'ergastolo in via definitiva per la morte di Yara Gambirasio. Ma la legge consente di rivedere i provvedimenti, anche se irrevocabili, in presenza di nuove evidenze. Bossetti dal carcere di Bollate continua a professarsi innocente. E a sostenerlo ci sono i suoi difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini che non smettono di criticare lo svolgimento del processo, caratterizzato da una formazione della prova al di fuori di ogni contraddittorio, in violazione dell’articolo 111 Cost. e di tutte le norme processuali ad esso ispirate: «Durante tutti i processi - ci dice Salvagni - non abbiamo mai neppure potuto vedere questi reperti, il nostro è stato un forzato atto di fede verso il lavoro degli inquirenti. Non è accettabile che la difesa non veda e non analizzi quella che viene dichiarata essere per tutti la prova regina. Si tratta a nostro parere di una violazione del diritto di difesa».

E Camporini aggiunge: «I genetisti che abbiamo consultato ci hanno detto che a dieci anni dagli eventi le tecniche di analisi si sono evolute e noi crediamo che analizzando oggi quei reperti potremmo avere quelle risposte alle numerose anomalie accertate che le stesse sentenze hanno ammesso di non essere riuscite a dare, si pensi ad esempio al dato escludente del dna mitocondriale». In vista di una possibile revisione del processo, i due legali il 26 novembre 2019 hanno presentato una istanza alla Corte di Assise di Bergamo per avere accesso ai reperti. Riportiamo una cronologia dei fatti alquanto strana ed ondivaga. Il 27 novembre il giudice ha accolto la richiesta con un provvedimento sintetico, prosegue Salvagni: «” Visto, si autorizza tutto”; nessuno impugna e la decisione si stabilizza. Il 2 dicembre il presidente della Corte indirizza all'Ufficio Corpi di Reato un provvedimento in cui dichiara che l'autorizzazione concessa deve riferirsi alla ricognizione dei reperti, ossia alla mera osservazione».

Il 9 dicembre i due legali avanzano un'altra istanza in cui chiedono in che modalità sarà concesso loro di effettuare l'osservazione dei reperti. Il 15 gennaio 2020 la Corte, a seguito di una richiesta del Pm, con cui chiedeva che fine faranno quei reperti, dispone la confisca degli stessi e la loro conservazione. Gli avvocati a quel punto hanno accesso all'elenco delle prove e, come precisa Camporini, «rispetto a quanto riportato nelle sentenze, che avevano negato ogni ulteriore accertamento per l’esaurimento del materiale probatorio, sono invece comparsi 54 campioni di Dna; inoltre mancano molti reperti presenti invece negli atti processuali, come ad esempio i guanti di Yara trovati nella tasca del giubbino sui quali erano state rinvenute tracce genetiche non appartenenti a Massimo Bossetti, i margini ungueali della vittima, sim, batteria, chiavi, portachiavi, lettore mp3, braccialetto, mancano moltissimi campioni relativi ai prelievi durante l’autopsia, molti campioni di formazioni pilifere, etc.». Inoltre, aggiunge Camporini, zabbiamo chiesto al Ris e alla Polizia Scientifica di fornirci le caratterizzazioni genetiche effettuate e il cd con le foto scattate ai reperti e, nonostante il giudice abbia concesso l'autorizzazione senza condizioni, loro si sono rifiutati. Perché, come in corso di processo, questo ostinato ostruzionismo di fronte a un possibile confronto in contraddittorio? Ci hanno accusato di essere diffidenti e sospettosi, ma ogni giorno le perplessità aumentano». Dopo il 15 gennaio i legali presentano altre due istanze, non avendo ricevuta alcuna risposta a quella del 9 dicembre, e incredibilmente la stessa Corte, che a fine novembre li aveva autorizzati, il 26 maggio fa un altro provvedimento in cui dichiara inammissibile la loro richiesta. «Abbiamo presentato ricorso in Cassazione» ci dice Salvagni perché «si tratta di una pervicace negazione dei diritti di Massimo Bossetti. Due anni fa parlai proprio da queste pagine di errore giudiziario ma oggi credo che qualcuno sa di aver sbagliato e non vuole ammettere l'errore. Se venisse fuori che lo Stato italiano ha tenuto per oltre 6 anni un innocente in carcere a partire da un dato scientifico sbagliato, sarebbe una vergogna a livello mondiale».