«Qualsivoglia compagine amministrativa era destinata a risentire nello svolgimento delle proprie funzioni». Indipendentemente dal vincitore delle elezioni del 2013, a Marina di Gioiosa, in provincia di Reggio Calabria, la ‘ ndrangheta avrebbe avuto gioco facile e avrebbe allungato la sua lunga mano su ogni aspetto della vita amministrativa. Si racchiude in queste poche righe il succo della memoria difensiva dell’avvocatura dello Stato contro l’ex sindaco e gli ex assessori del Comune della Locride, decisi a far annullare lo scioglimento della loro amministrazione, decretato a novembre del 2017.

Il passaggio è a pagina 24 della memoria, dove l’avvocato Tito Varrone cita la presenza vigile «di persone contigue ai due sodalizi di stampo mafioso» - gli Aquino e i Mazzaferro - che «trovava la sua logica spiegazione» nell’intenzione dei clan «di controllare chi si recava ai seggi e, più in generale, di inviare puntuali segnali all’elettorato in merito alle scelte da compiersi». Insomma, il classico controllo del territorio, sintomatico, secondo l’avvocatura dello Stato, «sia di possibili se non altamente probabili interferenze» da parte dei clan per «orientare l’andamento della competizione elettorale», sia «dell’asfissiante presenza della criminalità organizzata di cui qualsivoglia compagine amministrativa era destinata necessariamente a risentire nello svolgimento delle proprie funzioni». Insomma, a Marina di Gioiosa non sarebbe stato possibile avere un’amministrazione “pulita”, in nessun caso, anche se a vincere non fosse stato l’avvocato Domenico Vestito. Ma per Francesco Macrì, difensore degli ex amministratori, si tratterebbe di «una vera e propria teorica, secondo cui chi opera politicamente in territori in cui è stata accertata la presenza della criminalità mafiosa è destinato a subire inevitabilmente l’influenza e il condizionamento di tali forze negative afferma -. Tesi davvero insostenibile, vero e proprio determinismo. Sarebbe come dire che a Palermo, a Napoli, a Catania, ad Agrigento non è possibile amministrare senza essere inquinati o condizionati dai sodalizi criminosi presenti sui rispettivi territori». Affermazioni, aggiunge il legale, che denoterebbero «il marcato indirizzo pregiudiziale» alla base di procedimenti, che, invece, «meriterebbero serenità di analisi e di giudizio» e che rappresenta «non l’esigenza di ricercare verità e giustizia, quanto, piuttosto, di dipingere un quadro a tinte fosche, nel tentativo, maldestro, di dimostrare assiomi e provare teoremi».

Era stata la stessa Commissione d’accesso, evidenzia ancora l’avvocato Macrì, a definire «dinamica e propulsiva» l’azione degli amministratori, sul cui conto, scriveva il prefetto, «nulla risulta». Ma a penalizzarli è stata soprattutto la partecipazione dell’ex assessore ai Lavori pubblici, Francesco Lupis, al sesto memorial in onore del figlio di Nicola Rocco Aquino, «esponente di spicco dell’organizzazione criminale», morto a 26 anni per una malattia. «È sin troppo evidente - scrive l’avvocatura - che nel momento in cui si è assunta una carica pubblica (..) si impone uno stile di vita tale da porre il singolo al di sopra di ogni sospetto». Quello era, dunque, un episodio sintomatico dell’esistenza di possibili contatti fra Lupis «e consorterie di stampo mafioso».

Quale elemento «univoco, concreto e rilevante», si chiede però Macrì, darebbe ragione del «sospetto di tale collegamento?». E quale sarebbe il favore «nei confronti della criminalità» da parte di Lupis? Il legale parla di «enunciazioni prive di consistenza fattuale, e, quindi, giuridica», mentre la documentazione allegata al ricorso dimostrerebbe che «nei confronti della famiglia Aquino» l’amministrazione «ha mantenuto un atteggiamento di assoluto rigore e fermezza - afferma - Prova ne è la revoca, in tempi brevissimi, delle concessioni demaniali marittime» intestate proprio alla famiglia Aquino. Tra i temi affrontati anche gli affidamenti di appalti e lavori, sui quali, contesta Macrì, l’avvocatura giungerebbe a «valutazioni su atti inesistenti», tanto da dubitare «che possa trattarsi di refusi» determinati «da un disattento “copia e incolla”». Varrone cita, infatti, diversi appalti censurati dalla Commissione d’accesso, ma, evidenzia l’avvocato, l’unico appalto messo in discussione è quello relativo al muro del lungomare. «Paradossale, infine, l’enunciato secondo il quale la Commissione straordinaria, che attualmente gestisce il Comune di Marina di Gioiosa Ionica, sarebbe totalmente estranea agli aspetti amministrativi della vita dell’ente, che invece ricadrebbero tutti sotto la responsabilità del Rup conclude -. Per sciogliere le amministrazioni comunali tale distinzione non ha alcun peso e quindi le inefficienze della burocrazia ricadrebbero sempre anche sugli organi politici, mentre per difendere le commissioni prefettizie tale differenziazione risorge».