Il catenaccio è il nemico dei radical chic: quelli che amano girotondi (in piazza come in campo, magari attorno a una coppa dalle grandi orecchie) e le elite, perché lo spettacolo, tranne poche eccezioni – vedi il Napoli di Sarri – se lo possono permettere solo quelli ricchi, quelli belli e quei popoli che mettono la bellezza davanti alla vittoria. Perdendo sempre. I Guardiola e i Barcellona, quindi, i Crujff e gli Orange olandesi, o il calcio totale e caotico dei nigeriani anni ’90, dove la libertà era totale anarchia.Ma se sei debole, se sei Davide, e vuoi battere Golia, tu devi costruire un fortino e armare i cannoni, difenderti e contrattaccare: il catenaccio è guerriglia, è il gioco dell’intuizione incastonato nell’organizzazione ferrea di una truppa coesa, dell’unione che fa la forza, è il romanticismo contro la scienza, è il sentimento contro la razionalità. E’ la gamba che arriva dove l’allenatore non ha previsto.Ce l’hanno sempre appioppato a noi italiani, per quel Nereo Rocco che era raffinato tattico e capace di dare ai suoi attaccanti consigli e spazi che scienziati più spettacolari neanche immaginavano. Solo per quella frase in cui al piede del suo difensore chiedeva di toccare qualcosa: palla o caviglia dell’avversario, poco importava. Perché Bearzot costruisce su Gentile – iconica la sua marcatura su Diego Armando Maradona – il suo campionato del mondo, così come Lippi su Grosso, Nesta, Cannavaro e Materazzi il suo. Eppure pochi ricordano che il primo nel 1978 insegna calcio pure agli olandesi e Marcello ai padroni di casa tedeschi li mette sotto sul piano dell’impostazione. Certo, poi nel 2006 subisci solo due gol e a Spagna 1982 fai del contropiede e dell’opportunismo di Pablito Rossi poesia, ma la verità è che il catenaccio non piace solo a chi non ce l’ha. Chiedetelo a Falcao che conoscendo l’Italia, sul suo 2-2 nel 1982 italianamente piange di gioia, convinta di averla sfangata. Perché a lui il pareggio bastava, voleva la qualificazione. Lui sapeva che senza Vierchowod e Pruzzo non vinci lo scudetto, pure con la ragnatela di Nils Liedholm (che era profeta, ma pure realista e come Sacchi sapeva che il miglior attacco è la difesa).Perché il catenaccio è la forma massima della bellezza calcistica. La palla è rotonda, e con essa intendiamo l’attributo fondamentale per il carattere ferreo che serve a questo modulo. Il football è un gioco di squadra e nessuna altra tattica permette a tutti coloro che sono in campo – e pure in panchina - di partecipare a un progetto collettivo come quel baricentro basso che diventa un doppio sbarramento alle velleità di chi ti è di fronte. E nulla libera più la fantasia: Maradona deve ringraziare Bianchi e Bilardo per aver capito che con quel patrimonio genetico si doveva tutti custodire la propria porta e consegnare la sfera a quell’atleta divino per permettergli di fare ciò che volesse. Il buon Ottavio giocava con Maradona, Careca e Giordano (o Carnevale), un tridente che ora nessuno avrebbe il coraggio di mettere. L’”echilibrio” ne avrebbe nocumento. E immaginate Dieguito costretto a tornare o ad osservare dei moduli: solo il catenaccio ha permesso il gol contro l’Inghilterra, la rete più bella del mondo, o quello contro la Fiorentina.Ce lo insegna anche solo Pippo Inzaghi: per andare verso la porta basti te ed un compagno a buttare il cuore oltre l’ostacolo: che siano Barone o Valdano che ti corrono accanto e ti guardano, poco importa.Platini, senza il Trap che metteva sette otto taglialegna (celebre la battuta di Agnelli a Le Roi “Michel, ma lei fuma durante l’intervallo? ” a cui lui rispose: “L’importante è che non lo faccia Massimo Bonini che deve correre per lui e per me”), raffinati ma capaci di difendere all’arma bianca, al servizio della sua classe e di un reparto d’attacco clamoroso, da Boniek a Bettega a Rossi, faceva spettacolo.Se Rocco è il padre morale del catenaccio, Pozzo forse il primo a dargli un’identità nazionale, è la scuola Inter ad averne fatto un mito a livello internazionale. Foni lo ha reso un movimento sportivo e culturale, Helenio Herrera l’ha perfezionato anche grazie al carisma, all’istrionismo e alle vittorie. E poi Simoni: una sola Coppa U. E. F. A. all’attivo ma il merito di aver cresciuto Simeone che lo individua come il suo maestro indiscusso (senza dimenticare che a far barricate a Catania ha costruito la sua professionalità d’allenatore). E non è forse la partita più emozionante degli ultimi anni quel Barcellona-Inter in cui José Mourinho con Eto’o terzino e in 10 ottenne la finale di Champions che porterà al triplete?La zona, il calcio totale, il tiki taka, prevedono un monarca, il catenaccio, il cholismo o qualsiasi altra declinazione vogliate dargli (sì, persino il mazzarismo) vogliono un leader, un primus inter pares. Un po’ la differenza tra i piani quinquennali di Stalin e il bolivarismo moderno. Tanto è snob e verticistico il modulo di gioco che mette lo schema sopra il pane duro del sacrificio, l’amore nello spogliatoio e la fantasia del singolo a favore del collettivo, quanto è solidale, coinvolgente, appassionante il secondo. Da Conte a Simeone, ogni giocatore è necessario e indispensabile, da Guardiola a Van Gaal quello che conta è la Fede. Sì, il tiki taka è l’oppio dei popoli, mentre il catenaccio è lo schema del popolo.