Lite tra avvocati. Capita. Nei migliori processi, verrebbe da dire. Era forse inevitabile che avvenisse in un caso controverso, sul piano processuale, come quello della morte di Stefano Cucchi. Così ieri finiscono per trovarsi duramente contrapposti i difensori: da una parte Francesco Petrelli ed Eugenio Pini, che assistono Francesco Tedesco, il carabiniere che ha accusato due suoi colleghi di aver selvaggiamente picchiato il geometra morto nel 2009. Dall’altra Giosuè Bruno Naso, che difende invece il maresciallo Roberto Mandolini: secondo la ricostruzione del militare “pentito”, non partecipò al pestaggio ma intervenne pesantemente per depistare le indagini.

È Naso a scrivere una lettera in cui avanza il sospetto di «inconfessabili accordi» fra il pm e i colleghi, in particolare Petrelli, che difendono Tedesco. Petrelli ribatte: «Sono accuse assurde, gravissime e infondate». Ma non è il solo fatto notevole della giornata. Se ne contano almeno altri due. Intanto, le minacce che uno dei colleghi attaccati da Naso, l’avvocato Pini, ha denunciato ai pm di Roma di aver subito da una voce anonima al telefono, che gli ha detto di ricordare «il giudice Livatino», ucciso dalla mafia. Altrettanto gravi, ma ovviamente su tutt’altro piano, le parole pronunciate dal comandante generale dell’Arma Giovanni Nistri. In audizione davanti alle commissioni Difesa di Camera e Senato ha escluso un “mobbing” nei confronti di un altro carabiniere che ha svelato le presunte responsabilità dei colleghi, Roberto Casamassima. Poi, in un’intervista esclusiva concessa a Bruno Vespa per “Porta a porta”, ha detto, rivolto a tutti i militari coinvolti nel ca- so Cucchi, «chi sa parli». Ha quindi assicurato che «andrà fino in fondo» e ha ricordato che «un carabiniere deve rispettare il proprio giuramento, perciò chi esce da questa regola e viene ritenuto responsabile di gravi fatti non è degno di indossare la divisa».

È chiaro che attorno al processo sulla morte di Cucchi si sia innescata una tensione ormai fuori controllo. A tutti i livelli. Lo si coglie anche in un aspetto non trascurabile della cosiddetta lite tra gli avvocati. La lettera in cui Naso si rivolge, col tu ma con toni pesanti, al collega Petrelli ( che è segretario nazionale dell’Unione Camere penali) «non era affatto destinata a una pubblicità indiscriminata», come spiega lui stesso al Dubbio. «Era rivolta ai soli colleghi della Camera penale di Roma. Poi qualcuno, evidentemente perché in disaccordo con il sottoscritto, ha pensato bene di darla ai giornali».

Rivolto direttamente a Petrelli, Naso scrive che la «ragione» per cui «tu Francesco, accompagni il tuo assistito nell’ufficio del pm affinché questi conduca un’indagine parallela e riservata» appare «ai miei occhi inconfessabile ma assolutamente chiara: è la promessa derubricazione della imputazione elevata nei confronti del tuo cliente in quella di favoreggiamento, reato allo stato già prescritto, anche a costo di aggravare la posizione di tutti gli altri imputati». Fino a una considerazione amicale ma altrettanto risentita: «Sono quattro mesi che va avanti questa storia e non hai avvertito il bisogno, la necessità, la opportunità di informare i colleghi, tutti i colleghi e me in particolare!». In una nota, Petrelli risponde: «È semplicemente impensabile che un avvocato, per colleganza o, peggio ancora, per amicizia, possa violare il segreto istruttorio ed il riserbo assoluto di una indagine. Ed è altrettanto inaccettabile che si voglia sovrapporre indebitamente la figura del difensore a quella dell’assistito e si confondano i rapporti personali e professionali fra colleghi con le scelte processuali degli imputati. Il carabiniere Tedesco», ricorda Petrelli, «ha fatto una scelta difficile e coraggiosa e non vi è nulla di ‘ inconfessabile’ nei motivi che lo hanno indotto a denunciare i fatti e le responsabilità altrui, né nei modi in cui tale contributo di verità è stato fornito all’autorità giudiziaria».