Alla fine i 27 hanno concesso a Londra una proroga flessibile di 12 mesi per poter realizzare la Brexit. Ma se il governo e il parlamento britannico riusciranno a trovare un accordo soddisfacente il divorzio dall’Unione europea potrebbe avvenire prima. E’ la speranza delle premier britannica Theresa May che vorrebbe ratificare il “leave” prima del 22 maggio, data in cui inizieranno le elezioni europee e alle quali, se le cose non cambieranno, Londra dovrà partecipare. Ieri in serata si è svolta la riunione, durante la quale il Regno Unito si è presentato davanti ai premier europei in un Consiglio Europeo straordinario sulla Brexit: all’ordine del giorno la durata della proroga ( ad oggi fissata per il 12 aprile) e sul principio di “cooperazione sincera”, ovvero sulle condizioni che Londra dovrà sottoscrivere per ottenere il rinvio della Brexit. Altro nodo sul tavolo, il fatto che i britannici tengano o meno le elezioni europee il prossimo maggio in caso di proroga.

I tempi dell’uscita sono tema spinoso e controverso anche tra gli stati europei: la Germania e il presidente del Consiglio Europeo sarebbero per concedere fino al marzo 2020; altri Stati, come la Francia, ma anche la Slovenia e Cipro, preferirebbero una proroga più breve, dicembre 2019. L’Italia, invece, è favorevole a concedere una proroga lunga e flessibile.

«Dobbiamo essere aperti e costruttivi rispetto alla richiesta del primo ministro britannico di una proroga» perchè «un ritiro ordinato del Regno Unito dall’Ue è anche nel nostro interesse», ha spiegato la cancelliera Angela Merkel nel suo intervento. Più rigido, invece, il francese Emmanuel Macron: «Oggi dobbiamo capire: perché questa richiesta? Qual è il progetto politico che la giustifica e quali sono i chiari propositi? Ora è il momento delle decisioni».

Il summit è proseguito fino a tarda notte, ma nel Coreper ( il Comitato dei Rappresentanti Permanenti presso l’Ue) l’atmosfera era quella di una maggioranza favorevole ad una proroga lunga, con qualche condizione non troppo rigida, in modo da non mettere eccessivamente in difficoltà la premier britannica May. Il filo, infatti, è sottile: se il Regno Unito rifiutasse le condizioni offerte dall’ue, potrebbe scattare il “no deal”, ovvero un’uscita brusca e senza accordi, che però non sarebbe nell’interesse di nessuna delle parti in causa e che viene considerato uno scenario molto poco probabile.