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LaPresse/Spada
A Brescia la mattina del 28 maggio 1974 piove a dirotto, in città si sta svolgendo una manifestazione antifascista organizzata dalle principali organizzazioni sindacali, Cgil, Cisl e Uil, quattro cortei che confluiscono nella centrale Piazza della Loggia dove, alle 10 in punto, sono previsti gli interventi degli oratori dal palco, montato davanti al palazzo municipale.
Una fitta schiera di ombrelli si assiepa al centro della piazza, in molti trovano riparo sotto i portici in attesa che partano i comizi. Alla manifestazione partecipano un po’ tutti i partiti dell’arco costituzionale, i comunisti, i socialisti, i repubblicani, anche la Democrazia cristiana, con l’eccezione del Movimento sociale italiano accusato di fomentare e coprire le trame oscure del terrorismo fascista.
La paura di una svolta autoritaria nel nostro paese in quel passaggio storico era tangibile, incombente, era accaduto in Grecia nel 1967 con il colpo di Stato dei colonnelli, era accaduto in Cile l’anno precedente con il golpe di Pinochet. Tutti ricordano inoltre i tentativi veri o presunti di rovesciare l’ordine democratico con il Piano Solo (1964) e il fallito golpe Borghese (1970).
E poi c’erano state le altre stragi, quelle italiane tanto sanguinose quanto avvolte nel mistero: il 12 dicembre 1969 la bomba alla sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana a Milano (17 morti 88 feriti), il 22 luglio 1970 un altro ordigno fa deragliare all’altezza di Gioia Tauro il treno direttissimo per Torino proveniente dalla Sicilia (sei morti, sessanta feriti), il 31 maggio 1972 una Fiat 500 imbottita di esplosivo uccide tre carabinieri a Peteano, in provincia di Gorizia. È la strategia della tensione, portata avanti da menti e mani occulte nel labirinto dell’eversione nera e dei servizi deviati. Stragi di Stato vennero chiamate anche se le verità giudiziarie non sempre hanno combaciato con le ipotesi di complotto, anche per colpa dei depistaggi successivi.
Nel Bresciano, nei mesi precedenti il 28 maggio, tutta una sequenza di violenze e attacchi che i sindacati e le organizzazioni di sinistra non esitano a definire di matrice «neofascista»: il 16 febbraio una bomba devasta l’entrata della Coop di viale Venezia, a rivendicarla un volantino della Sam (Squadre di azione Mussolini), il 27 febbraio a Lumezzane viene data alle fiamme la sede del Sindacato unitario dei metalmeccanici, l’8 marzo altre due bombe sono rinvenute all’interno della Chiesa delle Grazie, il 14 marzo a Leno un ordigno colpisce il palazzo della Cisl, il 14 marzo cinque bombe vengono ritrovate in un parco pubblico di Brescia, l’8 aprile ancora colpi d’arma da fuoco contro la Coop, il 27 aprile la polizia sventa un attentato contro la sede locale del Psi di largo Torrelunga; il primo maggio, festa dei lavoratori, un altro fallito attentato contro la Cisl: davanti l’ingresso della sede, una borsa di tela con otto candelotti di dinamite già innescati; il 18 maggio a piazza del Mercato perde la vita un militante neofascista di 21 anni, si chiamava Silvio Ferrari e trasportava una bomba sul pianale della sua Vespa Primavera.
È per rispondere a questa escalation di provocazioni che i sindacati convocano i cortei del 28 maggio, ma in pochi pensano che quella manifestazione potesse essere oggetto lei stessa di un brutale attentato. La polizia non ravvisa particolari rischi, non ci sono misure di sicurezza eccezionali, procede a un’ispezione di routine del palco dove intervengono gli oratori, ma gli agenti non controllano la piazza, in particolare nessuno pensa alle cassette metalliche portarifiuti appoggiate sotto i portici: erano state svuotate prima delle 7 dai netturbini.
Quando prende la parola il sindacalista della Cisl Franco Castrezzati sono le 10.08, nel suo intervento attacca frontalmente l’Msi e il suo segretario Giorgio Almirante «lugubre servitore degli ideali nefasti della repubblica di Salò che ordiva fucilazioni e repressioni», affermando che il suo partito dovrebbe essere messo fuorilegge perché erede diretto e mai pentito del ventennio mussoliniano. Sei minuti dopo, alle 10.12, Castrezzati pronuncia la seguente espressione: «A Milano...», poi un’esplosione, improvvisa e terribile, squarcia l’aria: una bomba al tritolo deflagra nella parte est della piazza, nascosta proprio all’interno delle cassette portarifiuti sotto le colonne del porticato che le forze dell’ordine non hanno voluto controllare. La scena è apocalittica, un mare di sangue ovunque, pezzi di corpi smembrati, urla di disperazione e richieste di aiuto che coprono i lamenti dei feriti agonizzanti, l’effetto dell’esplosione viene aumentato dalla densità dei partecipanti, addossati l’uno all’altro come sardine.
Dal palco Castrezzati invita i compagni a stare fermi, a mantenere la calma e a rimanere all’interno della piazza, bisogna evitare che nel panico qualcuno rimanga schiacciato ma non è facile, in pochi minuti arrivano le ambulanze e a quel punto i manifestanti vengono fatti defluire verso la vicina piazza della Vittoria. Il bilancio sarà di otto morti e oltre cento feriti.
Le vittime sono Giulietta Banzi Bazoli, 34 anni; Livia Bottardi in Milani, 32 anni; Alberto Trebeschi, 37 anni; Clementina Calzari Trebeschi, 31 anni; Euplo Natali, 69 anni; Luigi Pinto, 25 anni; Bartolomeo Talenti, 56 anni; Vittorio Zambarda, 60 anni. Alle 13.00, terminata la fase dei soccorsi, gli idranti dei vigili del fuoco puliscono la piazza, un’operazione che sembra normale a tutti, anche alla piccola folla di lavoratori che si trova ancora all’interno di Piazza della Loggia. Solo che quegli idranti, giunti sul luogo dell’esplosione prima della polizia scientifica, cancellano per sempre le tracce e i reperti dell’ordigno, un atto irresponsabile che complicherà ulteriormente le indagini e i processi giudiziari che seguiranno negli anni.