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President Joe Biden pauses as he walks down the steps of Air Force One at Dover Air Force Base in Delaware, Wednesday, July 17, 2024. Biden is returning to his home in Rehoboth Beach, Del., to self-isolate after testing positive for COVID-19. (AP Photo/Susan Walsh) Associated Press / LaPresse Only italy and Spain
Il fine settimana si annuncia delicato e decisivo per i democratici. Biden potrebbe rinunciare alla corsa per la Casa Bianca e aprire la porta a scenari nuovi in vista delle elezioni presidenziali del 5 novembre. A poco più di quattro mesi dal voto il Partito democratico riuscirà ad organizzarsi per fermare la corsa – che sembra adesso inarrestabile – verso Washington di Donald Trump e J.D. Vance? Questa domanda tormenta i più stretti collaboratori del presidente uscente, ma anche i “grandi saggi”, a partire da Barack Obama.
L’ex presidente avrebbe consigliato a Biden di valutare con attenzione se continuare a essere il candidato dei democratici. La residenza estiva di Rehoboth Beach, in cui Joe Biden sta trascorrendo alcuni giorni di riposo forzato, dopo aver contratto il Covid, sembra essersi trasformato in un fortino sotto assedio. A chiedere un passo indietro sono stati già l’ex speaker della Camera Nancy Pelosi e altri notabili del partito, come Hakeem Jeffries e Chuck Schumer. La voce di un ritiro, che potrebbe essere annunciato in queste ore, è stata diffusa nella serata di giovedì dal sito Axios, ma non ha trovato al momento alcun riscontro. L’ipotesi di sostituire Biden con la sua vice, Kamala Harris, resta in piedi. Una mossa volta, prima di tutto, a cercare di non dissipare la preziosa dote di voti in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin. Questi tre Stati sono considerati una diga per arginare la piena repubblicana. Buttare nella mischia Kamala Harris potrebbe essere l’ultima mossa per evitare una sconfitta non troppo umiliante.
Un nuovo sondaggio dell’Associated Press-NORC Center for Public Affairs Research ha rivelato che 6 elettori democratici su 10 credono che Kamala Harris possa “fare un buon lavoro” come presidente. Due democratici su 10 non credono che “farebbe bene” e altri 2 su 10 non si esprimono. Ma la vicepresidente sembra incapace, nel caso in cui dovesse ricadere su di lei la scelta di correre come candidata principale, di presentarsi credibile e autorevole. Anzi, potrebbe essere offerto un altro assist a Trump, che la attaccherebbe sugli interventi in materia di immigrazione che hanno scontentato un po’ tutti. L’unico dossier affidato alla Harris da Biden non ha portato alcun risultato. Insomma, in casa dem regnano incertezza, paura e caos.
Tra i repubblicani, invece, il bilancio della convention di Milwaukee è molto positivo. L’investitura di Trump e Vance ha entusiasmato gli elettori, convinti più che mai che il tycoon possa ritornare alla Casa Bianca in compagnia questa volta di un politico giovane in grado di parlare a generazioni diverse di americani. A pochi giorni dall’attentato di Butler Trump si è presentato come un miracolato e un sopravvissuto. Nel suo discorso, durato più di novanta minuti, ha unito un tono sacerdotale e uno più rassicurante, promettendo di rappresentare, in caso di elezione, tutti gli americani. «La discordia e la divisione – ha detto Trump - nella nostra società devono essere sanate. Come americani, siamo legati insieme da un unico fato e da un destino condiviso. Mi candido per diventare presidente per tutta l’America, non per metà dell’America, perché non c’è vittoria nel vincere per metà del Paese». Questo l’approccio restando nei confini nazionali. E oltreoceano, in Europa, come intende agire “The Donald”, se dovesse essere rieletto alla guida degli Stati Uniti? Come si comporterà in merito alla guerra in Ucraina? L’ipotesi di imbastire un negoziato con la Russia di Putin è verosimile o ricalca un’idea da spaccone? Dal canto suo il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha affermato che lavorare con Donald Trump sarà difficile, «ma noi siamo grandi lavoratori». La Cnn ha riferito che il candidato repubblicano potrebbe chiamare Zelensky.
«Gli Stati Uniti – dice al Dubbio Giorgio Cella, Ph.D., docente e analista della “Fondazione Med-Or” e autore del libro “Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus' di Kiev a oggi” - stanno vivendo dei tempi molto particolari, di grandi turbolenze interne. Ciò non significa, come ripetuto con leggerezza qua e là, che l’America sia già in un avanzato stato di declino. È noto infatti come le fasi declinanti degli imperi siano periodi di trasformazioni tradizionalmente piuttosto lunghi. In caso di una vittoria del duo Trump-Vance, è piuttosto probabile che vi sarà una qualche rimodulazione della politica statunitense sull’Ucraina, ma non quello stravolgimento di cui oggigiorno si sente spesso ripetere. Fu proprio Trump, nel 2017, a fornire agli ucraini i cosiddetti “aiuti letali”, nel gergo militare americano, ossia armamenti. Detto ciò, le dichiarazioni di Vance lasciano pochi dubbi su come veda la questione ucraina, non come una priorità per Washington. Vedremo gli apparati come sapranno riequilibrare eventuali scostamenti troppo forti sul fronte ucraino». In Medio Oriente, secondo il professor Cella, «si prospetta una unità tra Stati Uniti e Israele assai forte, essendo Trump, ma anche e soprattutto Vance, fortemente pro Israele. Tel Aviv ne uscirebbe senz’altro ancor di più rafforzata e con solidissime garanzie di sicurezza, se i repubblicani dovessero vincere».
Durante l’appuntamento elettorale di Milwaukee, non è mancato neppure un momento di spettacolo. L’ex campione di wrestling Hulk Hogan ha arringato il popolo repubblicano e, dopo essersi strappato la maglietta che indossava, ha mostrato una canottiera rossa con i nomi dei candidati presidente e vicepresidente. Quello che accade nel mondo, però, richiede nervi saldi, capacità di trattativa e sobrietà. Le pantomime del wrestling sono un’altra cosa.