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Nessuno si aspettava l'uscita di scena inglese ma tutti erano pronti al peggio. A cominciare dalla cancelliera tedesca Angela Merkel che nella mattinata di ieri, appena appresi i risultati del referendum, ha immediatamente chiamato il premier italiano Renzi e quello francese, Hollande, e convocato una riunione urgente: «Ho invitato a Berlino il presidente francese, Francois Hollande, il premier italiano Matteo Renzi e il presidente del Consiglio Ue Donald Tusk per dei colloqui», ha riferito la cancelliera tedesco. «Poi - ha aggiunto - allargheremo questo circolo per rendere le discussioni più profonde».Insomma, il messaggio di Berlino è chiarissimo: di fronte a un evento così drammatico per il futuro dell'Europa, la Germania chiede a i due fondatori storici (Roma e Parigi) di "stringersi a corte" e fare quadrato. Un'Europa, dunque, sempre più a trazione tedesca ma con una forte supporto italo-francese. E Merkel nel suo intervento non ha voluto sdrammatizzare la portata della Brexit parlando esplicitamente di «taglio netto», di colpo al «processo di integrazione». Poi il riferimento, niente affatto casuale in un momento del genere, ai valori storici del continente delle libertà, dei diritti e della democrazia: «L'Europa - ha infatti aggiunto - è riuscita a garantire la pace europea dopo secoli di violenza. La Ue è un garante per la pace, il benessere e la stabilità. Le sfide di oggi sono troppo grandi per farcela da soli. Insieme possiamo affermarci nella competizione globale». Dichiarazioni che la politica e l'economia mondiale hanno interpretato e accolto come le parole della leader indiscussa della nuova Europa a 27.E mentre Angela Merkel riaffermava la centralità dell'Ue e della Germania, Juncker (Commissione Ue), Tusk (Consiglio Europeo), Schulz (Parlamento Europeo) e Rutte (presidente di turno del Consiglio Ue) accompagnavano l'Inghilterra all'uscio: «L'Unione di 27 stati membri continuerà, ci aspettiamo che il governo del Regno Unito dia effetto alla decisione del popolo britannico al più presto possibile, per quanto doloroso potrà essere il processo».Ma è evidente a tutti che lo sfratto non sarà cosa semplice né rapida. Soprattutto perché non esistono precedenti del genere. Oltretutto l'articolo 50 del Trattato di Lisbona non specifica le modalità dell'uscita di uno Stato membro. «E' un divorzio complicatissimo», ha spiegato l'ex premier Enrico Letta, «sia dal punto di vista politico che commerciale. A Londra, tanto per dirne una, ha sede l'autorità bancaria europea. Così andrà spostata ed è altrettanto chiaro che la città prescelta diventerà una sorta di nuova capitale finanziaria, sia essa Milano, Dublino o Francoforte». Ed è proprio questa la partita delle prossime settimane. La scelta delle nuove sedi "finanziarie" determinerà anche gli equilibri politico-economici futuri, e le nuove coordinate entro cui si muoverà la finanza mondiale.Ma Merkel, Renzi e Hollande, così impegnati a ricucire il tessuto logoro del Vecchio continente, dovranno tener conto delle forze centrifughe interne che sembrano aver formato una sorta di "internazionale" antieuropea. Come altro interpretare le parole di Farage, leader dell'Ukip e grande vincitore della Brexit, quando invita l'Italia la Danimarca, l'Austria e la Svezia a seguire l'esempio inglese per «riprendersi il proprio paese e cacciare le grandi banche e il grande business»? Un messaggio rilanciato da Marine Le Pen in Francia - «dalla Brexit alla Frexit: è ormai ora di importare la democrazia nel nostro paese. I francesi devono avere il diritto di scegliere! », ha cinguettato la leader del Front National - e da Matteo Salvini qui da noi, che ha già preparato le carte bollate per l'Ital-exit.Insomma, al trio Merkel, Hollande, Renzi si contrappone il tavolo, sempre più affollato, degli euroscettici che sta giocando tutto sulla demolizione dell'edificio europeo. Uno scontro politico sul quale si giocherà la sopravvivenza dell'Europa.