Vietato produrre, importare e vendere alcol in Iraq. È questa la sorprendente novità partorita dal parlamento di Baghdad. Nel bel mezzo della campagna militare per liberare Mosul dall'Isis e sempre più lontano dagli elettori che lo accusano di corruzione e settarismo, il governo del premier sciita Haydar al Abadi ha pensato bene di fare un altro passo verso l'iranizzazione del Paese.Il voto, non preceduto da alcun dibattito politico, si è tenuto sabato notte, ma le percentuali di favorevoli e contrari non sono state rese note. Promotore del provvedimento è Mahmoud al Hasam, membro della coalizione State of Law, largamente maggioritaria in aula e interamente composta da sciiti. Il testo di Al Hasam prevede multe fino a 20mila dollari per chi disobbedisca alla legge e si appella all'articolo 2 della Costituzione, secondo cui «qualsiasi legge che vada contro l'Islam deve essere proibita». Ma alla Costituzione si rifanno anche i contrari alla legge, capeggiati dai cristiani: «Nel nostro ordinamento i diritti dei non musulmani sono equiparati a quelli dei musulmani - ha detto al Guardian l'avvocato Joseph Slaiwa - E a questi legislatori musulmani posso solo dire: occupatevi dei vostri affari religiosi e lasciate a noi i nostri, ché sappiamo come farli».La messa al bando dell'alcol spaventa i cristiani iracheni anche dal punto di vista economico, perché sono loro a gestire il business degli alcolici. I loro rappresentanti hanno annunciato il ricorso alla Corte Suprema, ma se la legge dovesse definitivamente entrare in vigore per la comunità cristiana sarebbe l'ennesimo durissimo colpo. Dopo la caduta del regime baathista di Saddam Hussein nel 2003, circa l'80% di caldei e degli altri cristiani hanno lasciato l'Iraq. L'instabilità del Paese, gli attentati e la dichiarata ostilità delle frange religiose più estremiste verso i non musulmani hanno provocato un esodo ininterrotto dei cristiani che oggi sono a mala pena 200mila in tutto l'Iraq. Bassora, nel Sud del Paese, era una delle città in cui la comunità cristiana amministrava la vendita degli alcolici: «Adesso sono rimaste solo una cinquantina di famiglie, che fanno una vita da ghettizzati fra le case e la chiesa» racconta padre al Banna, parroco della chiesa caldea. «Dopo il 2003 anche qui abbiamo subìto le violenze intersettarie, poi la maggioranza sciita ha prevalso e adesso controlla la città. - continua il parroco - Una delle prime cose che hanno fatto è stata dar fuoco ai negozi di alcolici e minacciare le persone che le gestivano, tutte cristiane. Così, nell'arco di pochissimo tempo se ne sono andati tutti in Kurdistan e fra un po' nessun cristiano vivrà più a Bassora».La regione autonoma del Kurdistan, nel Nord dell'Iraq, è da più di dieci anni un rifugio sicuro per le minoranze in fuga dai jihadisti e dagli scontri settari che hanno devastato Baghdad e le altre città irachene. Grazie all'autonomia, il governo di Erbil ha potuto accogliere centinaia di migliaia di profughi e beneficiarne, anche grazie all'alcol. Il governo di Massud Barzani ha costruito una nuova zona di Erbil, la capitale regionale, proprio per l'accoglienza. Creata nel 2009, Ainkawa è ormai diventata città a sé ed è famosa come «il bar del Medio Oriente». Passato il confine con l'Iraq i cristiani infatti hanno ricreato qui il loro business e le strade di Ainkawa sono piene di negozi che vendono alcolici e di locali che li servono. Essendo anche il principale centro per gli stranieri che stazionano in Iraq per lavoro, il business degli alcolici (quasi tutti importati dalla vicina Turchia) ha generato ad Ainkawa un elevato grado di benessere e di ricchezza. Non c'è da stupirsi quindi che, appena approvato il divieto a Baghdad, Erbil si sia affrettata a dire che «il divieto di vendere alcol non verrà applicato in Kurdistan. - ha annunciato il ministro degli affari esteri della Krg, Falah Bakir - La nostra regione ha il suo parlamento autonomo che non ratificherà questa legge. E anche il governo di Baghdad dovrebbe occuparsi di temi più seri».Il divieto non ha entusiasmato del tutto neanche la comunità musulmana irachena che si divide fra chi saluta favorevolmente un avvicinamento della legge ai dettami dell'Islam e chi si preoccupa per la progressiva deriva verso i costumi della Repubblica Islamica d'Iran. D'altronde, dal 1979 Teheran è un ottimo esempio di come il proibizionismo possa procurare affari d'oro ai contrabbandieri e ai gestori del mercato nero: «In Iraq ci sono già 72 club"non ufficiali", soprattutto al Sud - ha denunciato il deputato del partito liberale iracheno Fa'iq al Sheick - con cui spacciatori e raìs locali fanno affari d'oro. Se la vendita di alcol venisse proibita, in tutto il Paese fioriranno situazioni simili e in molti non aspettano altro».