La notte tra il 18 e il 19 dicembre 2020 nello studio ovale ci fu una riunione che l’assistente giuridico della Casa Bianca Pat Cipollone, testimoniando davanti la Commissione del Congresso sull’assalto a Capitol Hill, non ha esitato a definire «pazzesca». Oltre sei ore di discussioni, urla, insulti e persino minacce fisiche. Assieme al presidente uscente Donald Trump il suo avvocato ed ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, l’ex consigliere alla sicurezza nazionale Michael Flynn, l’imprenditore “complottista” Patrick Byrne e l’avvocata di estrema destra Sidney Powell.

Nessuno di loro ricopriva ruoli ufficiali ma avevano grande influenza sulle decisioni del tycoon ed erano pronti a tutto per impedire la pacifica transizione dei poteri e l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, anche a sovvertire l’ordine democratico. Come?

Con un decreto presidenziale chiamato Insurrection act che avrebbe dovuto integrare le milizie suprematiste come i Proud boys e gli Oath Keepers nella Guardia Nazionale e l’impiego dell’esercito per sequestrare le schede elettorali negli Stati “in bilico” allo scopo di ricontarle e dimostrare che Biden era stato eletto in modo fraudolento. Trump ha qualche esitazione, ma sembra disposto a compiere lo strappo.

La riunione cambia completamente registro quando nello studio ovale irrompono Cipollone con il collega Eric Herschmann, anche lui assistente legale della Casa Bianca: «Non riuscivamo a capire che ci facessero e come fossero entrati», racconta Cipollone dicendosi «sconvolto» dai propositi del piccolo cerchio magico di Trump. «Erano parole e idee davvero terribili, non è così che si fa in uno Stato di diritto, non è così che facciamo in America». Hershman prova a spiegare all’accolita di esaltati che non si può chiedere ai militari di sequestrare le schede, che le accuse di brogli rivolte verso Biden e i democratici devono essere dimostrate con delle prove concrete.

Di fronte alle contestazioni Giuliani alza la voce e ringhia contro i due: «Siete dei vigliacchi!» . Anche Flynn si scalda e inizia a mostrare dei grafici pieni di frecce che “dimostrerebbero” l’esistenza di una cospirazione internazionale con tanto di hacker che avrebbero piratato le macchinette del voto elettronico dal Venezuela. Trump annuisce ma allo stesso tempo si rende conto di quanto estreme sarebbero le conseguenze se desse carta bianca ai bellicosi propositi dei suoi consiglieri “informali” Herschmann, anche lui ascoltato dalla Commissione, ricorda che Sidney Powell era arrabbiatissima con i giudici che hanno convalidato l’elezione di Biden e rigettato le denunce di brogli che a suo avviso erano «corrotti e parziali». «Anche quelli nominati da Trump», ironizza l’avvocato: «Dicevano cose folli, e si comportavano come dei folli».

La stessa Powell è stata ascoltata dalla Commissione e, a suo modo, ha confermato i dettagli della strana riunione: «Cipollone e Hershman erano infastiditi da noi e trattavano Trump con sufficienza e disprezzo». L’incontro termina dopo la mezzanotte e poco dopo Trump pubblica il famoso tweet in cui si dice «eccitato e galvanizzato», invitando i sui fan alla «grande manifestazione di Washington del 6 gennaio», quella che degenerò nell’assalto al palazzo del Congresso provocando cinque morti e decine di feriti.

Per molti quel tweet era una specie di via libera per le milizie estremiste, ma The Donald rifiuta le accuse, sostenendo che le sue parole di incitamento non erano affatto un appello per assaltare il Congresso. I principali responsabili dei disordini sono stati individuati tra i miliziani del gruppo Oath Keepers, undici di loro accusati ufficialmente di sedizione per rovesciare l’ordine costituito.

Il suo fondatore, Stewart Rhodes, che parla di sé come «leader paramilitare» sarebbe all’origine dell’Insurrection act, suggerito a Trump fin dal novembre 2020, all’indomani della sconfitta elettorale. Tuttavia, per quanto nell’amministrazione repubblicana in molti fossero al corrente del carattere violento della manifestazione che si sarebbe tenuta a Capitol hill, la Commissione per il momento non ha stabilito un legame diretto tra Trump e i gruppi estremisti al punto da individuarlo come il mandante dell’assalto, come invece è stato fatto per l’ex consigliere Steve Bannon.